Tre i candidati alla successione di Carlo Tavecchio alla Presidenza della Figc, in rigoroso ordine alfabetico: Gabriele Gravina (indicato dalla Lega Pro), Cosimo Sibilia (dai Dilettanti) e Damiano Tommasi (dall’Assocalciatori). Segno di divisione delle varie anime che sono rappresentate all’interno della governance del calcio italiano. Non un progetto comune forte per il rilancio del pallone di casa nostra, ma bensì l’individualismo fatto persona.

Il 29 gennaio sapremo chi sarà il nuovo capo della Federazione Italiana Giuoco Calcio.

Vero è che chi si aspettava una rivoluzione in termini quanto meno di volti nuovi con idee nuove, rimarrà in questa fase deluso.

Si perché sostanzialmente non cambierà niente.

Questi candidati rappresentano un filo di continuità con la gestione Tavecchio, la stessa che ha portato risultati fallimentari in termini di nazionali, appeal dei campionati e ridimensionamento dei valori tecnici del calcio italiano, poiché loro stessi facevano parte del Consiglio Federale in questi anni, quindi direttamente o indirettamente hanno sostenuto le linee guida dell’Amministrazione Tavecchio.

Però qualcuno dirà abbiamo introdotto il Var.

Ok, il Var, uno strumento innovativo che, forse e dico forse, toglierà dubbi, perplessità e malafede sull’operato degli arbitri, ma senza ombra di dubbio toglierà autorevolezza a loro stessi.

E’ come dire ad un maestro di scuola elementare di far giudicare i propri alunni ad un algoritmo tecnologico, esonerandolo dalle sue responsabilità e dalla sua professionalità e competenza.

Non si risolvono i problemi dequalificando le risorse umane del calcio, ma bensì incoraggiandoli in una crescita proporzionata ai valori che questo sport rappresenta, ovvero il fatto umano.

Infine il Var stesso sta togliendo anche il gusto nel gioire ai calciatori, sempre sospesi in un arco di tempo infinito per capire se il proprio gesto tecnico nel realizzare il goal sia convalidato oppure no, giudicato da chi, non da una persona fisica, non da una fonte autorevole qual è l’arbitro, avendo egli stesso fatto corsi, gavette infinite per arrivare a dirigere le partite nel professionismo, ma bensì da un computer; quindi anche i tifosi non riescono più a gioire per un goal.

Tutto questo mette tristezza.

Vogliamo ai  vertici del Calcio non solo Nazionale, ma anche Europeo e Mondiale, persone che hanno giocato a calcio, che hanno respirato l’odore dell’erba, che sanno che cosa significano i ritiri e le rinunzie ed i sacrifici personali per poter arrivare a calcare i campi del professionismo.

Non abbiamo bisogno di politici  o manager finanziari prestati allo sport, ma personalità che sanno di calcio, e che questo sport ritorni ad essere umano nei valori e nella sua essenza ed alla portata di tutti, in conclusione democratico e partecipativo soprattutto dal basso.

 

Michele Giannotta

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