LO “IUS SOLI SPORTIVO”

 

Il 1° febbraio 2016 è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale la L. n. 12 del 20 gennaio 2016 concernente “disposizioni per favorire l’integrazione sociale dei minori stranieri residenti in Italia mediante l’ammissione nelle società sportive appartenenti alle federazioni nazionali, alle discipline associate o agli enti di promozione sportiva”.

La legge è entrata in vigore il 16 febbraio e riconosce il cd. “ius soli sportivo”, ovvero la possibilità per i minori stranieri regolarmente residenti in Italia “almeno dal compimento del decimo anno di età di essere tesserati presso le federazioni sportive “con le stesse procedure previste per il tesseramento dei cittadini italiani.

Già alcune federazioni “virtuose” riconoscevano tale diritto ai minori; ad esempio la Federpugilato, la Federazione dell’hockey su prato e la Federazione di atletica leggera, che già da alcuni anni tesserano i minori stranieri residenti in Italia da un periodo più o meno lungo alle medesime condizioni dei cittadini italiani.

Sebbene tale nuova legge che allarga le maglie dell’accesso allo sport ai giovani stranieri non possa che essere accolta con favore, si ritiene che alcuni aspetti siano ancora carenti:

 

  • la limitazione del disposto normativo ai minori che hanno fatto ingresso prima del compimento dei 10 anni è probabilmente dettata dalla presunzione che per un minore entrato in così tenera età il rischio di essere soggetto al traffico illecito di calciatori sia estremamente ridotto. Tuttavia la limitazione determina l’esclusione di molti minori il cui diritto alla parità di trattamento con i minori italiani è garantito dalla Convenzione ONU sui diritti del fanciullo (firmata a New York il 20.11.89 e ratificata dall’Italia con Legge 176/1991), applicabile ai minori di 18 anni. Ciò vale in particolare per i minori titolari di protezione internazionale che, indipendentemente dall’età al momento dell’ingresso, hanno un’esigenza di particolare tutela derivante dal loro status, non potendo esercitare altrove l’attività sportiva a cui aspirano.

  • Il concetto di “regolarmente” residenti, ove interpretato restrittivamente, richiederebbe che il minore sia titolare di un permesso di soggiorno e sia iscritto all’anagrafe. Ciò determinerebbe un’impossibilità di tesseramento per tutti quei minori che, pur avendo risieduto per molti anni (se non dalla nascita) sul territorio italiano, vista l’assenza di una iscrizione anagrafica o di un permesso di soggiorno valido – peraltro mancanza a loro non imputabile – non potrebbero beneficiare di questa novità. In proposito va sempre ricordato che, come noto, il TU Immigrazione (in conformità ai principi di tutela del minore di cui alla citata convenzione ONU) prevede che il minore non possa mai essere considerato giuridicamente irregolare, indipendentemente dalla posizione giuridica dei genitori. Infatti l’art.19 comma 2 lett. a) TU Immigrazione sancisce il divieto di espulsione dei minori degli anni diciotto, i quali conseguentemente beneficiano, ai sensi dell’art. 28 comma 1 lett a) D.P.R. 394/99 di un permesso di soggiorno fino al raggiungimento della maggiore età. Alla luce di ciò si ritiene che il concetto di regolarmente residenti (che avrebbe dovuto essere meglio espresso con il solo termine “residenti”), debba essere interpretato secondo quanto previsto dall’art. 43, comma 2, c.c. cioè guardando alla dimora abituale (cfr. sul punto l’orientamento della giurisprudenza in materia di cittadinanza nonché l’ art. 33 decreto legge 69/2013) e quindi alla semplice presenza del minore sul territorio, indipendentemente dalla condizione di regolarità o meno del soggiorno dei genitori.

  • Infine la legge non interviene sulla disposizione di cui all’art. 27 comma 5 bis del TU Immigrazione che rimette alle singole federazioni, con amplissima discrezionalità, la facoltà di fissare “criteri generali di assegnazione di tesseramento” per l’attività sportiva retribuita “anche al fine di assicurare la tutela dei vivai giovanili“: poiché quest’ultima espressione è stata spesso interpretata come tutela dei vivai giovanili nazionali, permane il rischio di disposizioni interne che, quantomeno per l’attività retribuita, favoriscano i giovani italiani anche nei confronti degli stranieri che abbiano fatto ingresso in Italia prima del compimento dei 10 anni.

 

In ogni caso la legge rappresenta un importante passo avanti rispetto alla situazione attuale ove molti minori stranieri si vedevano precluso l’accesso allo sport.

Ciò che ora dovrà accadere è l’adeguamento delle disposizioni delle singole federazioni alla nuova legge. La FIGC, ad esempio, applica il Regolamento FIFA che, all’art. 19 comma 2, vieta sia il trasferimento dei minori stranieri già tesserati, sia il primo tesseramento in Italia del minore straniero salvo in tre specifiche situazioni (trasferimento dei genitori nel paese per ragioni indipendenti dal calcio, residenza entro 50km dal confine del paese in cui avviene il tesseramento, ragazzo ultrasedicenne proveniente da uno dei paesi dell’AEE) e comunque, anche in questi casi, lo ammette solo previo parere di una sottocommissione FIFA i cui tempi di valutazione vanno spesso ben oltre la durata di un campionato.

A parte il fatto che la FIGC e la FIFA ritengono che tra le tre eccezioni non possa rientrare quella dei minori non accompagnati, che vengono pertanto ritenuti sempre non tesserabili abili (cfr. sul punto la lettera ASGI e la sentenza del tribunale di Palermo) resta comunque rilevante il fatto che l’articolo 19, comma 2 cit., anche quando consente il tesseramento, prevede una procedura diversa per italiani e stranieri, più gravosa per questi ultimi. Alla luce della nuova legge tale procedura non è più compatibile con l’ordinamento nazionale per i minori stranieri che hanno fatto ingresso in Italia entro il decimo anno d’età. Si apre così un contrasto tra disposizioni dell’ordinamento sportivo internazionale e disposizioni nazionali che non può che essere risolto in favore di queste ultime.

 Fonte: ASGI Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione

 

 

 

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