Tra la sinistra italiana e la Juventus c’è un solido legame, la cui origine fu fatta risalire addirittura a Gramsci. Basti pensare che L’Unità il 16 dicembre 1988 pubblicò un articolo in prima pagina significativamente intitolato “Gramsci tifava per la Juve”, nel pezzo firmato da Giorgio Fabre si riportavano alcune lettere – apparse sulla rivista Lancillotto e Nausica – in cui il fondatore del Partito Comunista chiedeva al destinatario, Piero Sraffa, «notizie della nostra Juventus». Le lettere – proseguiva l’articolo – «sono state recuperate due anni fa dalla rivista cui le consegnò come sostiene la presentazione un giovane studioso inglese di sociologia dello sport che le avrebbe ricevute dalle mani dello stesso Sraffa». Le missive ben presto si rivelarono false ma scatenarono comunque reazioni, ad iniziare da Giampiero Boniperti. Il giorno seguente infatti su La Stampa si disse lusingato: «Ci fa piacere sapere che tra i nostri tifosi ci sono stati personaggi che hanno segnato un’epoca dal punto di vista politico, economico ed intellettuale. Questo dimostra che la Juventus ha davvero qualcosa di particolare, un fascino che con il passare degli anni non ha perso mai vigore».
Antonio Santucci sull’Unità prima ironizzò, ponendosi alcune domande: «Con il termine “terzini” si indicavano gli attuali difensori di fascia, durante le semifinale del torneo tra socialisti scapoli e ammogliati, massimalisti e riformisti? E ancora, sarà vero che Bucharin tifava per la Dinamo di Kiev, mentre quel dannato internazionalista di Trockij militava tra gli ultras dell’Atalanta?» e poi bollò l’iniziativa come «una spregiudicata promozione pubblicitaria della rivista».
Al di là però di questo tentativo grossolano, nel Partito comunista italiano, ma più in generale nell’intero arco della sinistra italiana, la fede juventina è ben radicata.
Ad iniziare da Palmiro Togliatti sul cui tifo per la Juventus non esistono conferme o smentite, ma alcuni aneddoti. Il più ricorrente riguarda una battuta rivolta a Pietro Secchia, secondo Giorgio Bocca in realtà si trattava di Pietro Longo, che ignorando i risultati delle partite fu sbeffeggiato dal Migliore: “E tu, pretendi di fare la rivoluzione senza sapere i risultati della Juventus?”.
Togliatti era assiduo frequentatore dello stadio, così come testimoniano alcuni scatti al fianco dell’Avvocato Agnelli.
Anche Enrico Berlinguer, a detta di molti tifoso juventino, amava guardare le partite con suo figlio Marco. Il 22 ottobre 2008 Vezio Bagazzino, che per quarant’anni ha avuto un bar tra via delle Botteghe Oscure e piazza Campitelli frequentato dallo stesso Berlinguer ed altri dirigenti comunisti, in un’intervista al Riformista ha ricordato: «Berlinguer, il sabato mattina, giocava a Villa Ada. Calciava molto bene di destro, ironia della sorte… Era tifoso della Juventus. Quella di Zoff, Furino, Capello e Cuccureddu. Ma la sua scorta, me lo ricordo bene, era tutta di fede laziale, così era costretto ad andare a vedere, allo stadio, le partite della Lazio».
Pure Luciano Lama, storico segretario della Cgil, come rievoca Stefano Di Michele sul Foglio, allo stadio stava con i bianconeri, «sono romagnolo, i romagnoli sono tutti juventini».
Da buon tifoso, spesso esigente, si beccò una dura reprimenda da parte dell’Avvocato Agnelli in una lettera apparsa il 6 marzo 1991 su La Stampa: «Ho mandato al giornale una foto di una partite della Juventus del 1948, dove mi trovavo accanto a Togliatti. Lui, come tutti i leader comunisti di una certa generazione e di una certa classe, era juventino. Non ho mai avuto modo di verificare se Berlinguer amasse la Juventus; ma da alcune sue reazioni, che ho avuto occasione di vedere allo stadio, mi pare che anche il suo cuore fosse bianconero». L’Avvocato difendeva l’allenatore Maifredi, invitando alla calma ed all’opportunità di assolvere serenamente il compito fino alla fine dell’anno, incoraggiandolo. La lettera poi si conclude così: «Mi dispiace non averla incontrata allo stadio domenica, anche perché la partita della Juventus è stata decorosa. Ma i tempi cambiano: non c’è più Togliatti, e non ho visto Lama. Per fortuna avevate come rappresentante l’onorevole Veltroni. La saluto con cordialità».
Nonostante ruoli e idee così diverse, tra l’Avvocato e il segretario della Cgil a fare dalla collante c’era la passione per la Juventus. Agnelli era notoriamente un efficace battutista, ad un incontro in memoria di Lama a un anno dalla sua scomparsa ricordò: «Tutti i grandi comunisti, da Togliatti in poi, sono stati juventini, mentre quelli del Torino sono delle mezze calzette. Non l’avessi mai detto, scatenai reazioni furibonde a cominciare da quella dell’allora sindaco di Torino Novelli».
Altro juventino di sinistra è Nerio Nesi, amico di Berlinguer ed ex ministro comunista dei Lavori pubblici nel governo Amato, ideatore e presidente onorario del Club Juve Montecitorio, così come la sua collega di governo Katia Bellillo, sempre dei comunisti italiani. In tempi più recenti dirigenti ex-Pci, ed ora Pd, di provata fede juventina sono l’ex segretario dei Ds ed ex sindaco di Torino, Piero Fassino, un passato da mezzala nelle giovanili della Juventus e un presente di “scontri” con i tifosi del Toro. E guai a ricordare alla base che granata, da sempre, era il nemico Bettino Craxi che in un’intervista concessa a Fabio Caressa nel 1999 disse: «Al Torino sono rimasto sempre fedele, come all’arma…».
Tornando alla casa madre, c’è Pier Luigi Bersani che nel novembre 2012, intervistato dal settimanale Oggi, rivela l’origine del suo tifo per la Juventus: «Quando uno è piccolino e vede Sivori non è che poi può tifare per un’altra squadra…». Un curioso episodio accomuna l’ex segretario del Pd ed il Migliore. Entrambi al risveglio, dopo un ictus il primo ed un attentato il secondo, chiesero ragguagli sulla Juventus.
E il già citato Walter Veltroni il quale nel luglio 1995 su La Stampa provò a fare chiarezza sul perché i grandi dirigenti della sinistra italiana fossero tutti juventini. «Penso di essere l’unico caso atipico. Perché Togliatti era di Torino, Berlinguer sardo e Lama romagnolo, terre tradizionalmente bianconere. Io invece sono romano, per me è un po’ diverso». E com’è diventato tifoso della Juve? «Io beccai la squadra di Charles e Sivori quand’ero bambino e mi innamorai subito. Ho visto Gori qui, e mi sono commosso».
Veltroni prova a giustificare questo rapporto con motivi “geografici”, ma come si spiega la familiarità tra la squadra della Fiat, quindi dei “padroni”, e il partito comunista Alberto Benzoni – ex vice-sindaco di Roma – su Mondoperaio, storico mensile socialista, ha provato ad indagarne le ragioni storiche e politiche: «La fede calcistica era un privato da rispettare. E però questa regola aveva le sue eccezioni. Perché, attraverso non so quali canali, era filtrata la notizia che il “gruppo dirigente” del Pci, a partire da Togliatti, era di fede juventina. Notizia che, a quanto posso ricordare, non fu oggetto né di smentite né di verifiche: perché corrispondeva all’immagine che gli altri avevano del Pci; e soprattutto a quella che il Pci stesso voleva proiettare. Cos’era, infatti, la Juventus agli occhi dei suoi sostenitori e del pubblico neutrale? Un simbolo di potere; ma anche di organizzazione, di disciplina, di serietà e di apertura al nuovo e al mondo. Diciamo un simbolo della nazione; diciamo la squadra della nazione. Allo stesso modo i comunisti vedevano se stessi. Seri, affidabili, disciplinati, rispettosi del potere e delle servitù che ne derivavano, rappresentanti autentici dei veri interessi della nazione, autolatrici interpreti del nuovo e del giusto. Insomma il vero, l’autentico “partito della nazione”».
Spiegherà Ugo Bertone su FirstOnLine come Togliatti avesse intuito, così come Mario Soldati, che la Juventus «era sì “la squadra dei gentlemen, dei pionieri dell’industria, dei gesuiti, dei benpensanti, di chi aveva fatto il liceo: dei borghesi ricchi”, ma anche un mito per le masse del Mezzogiorno, un simbolo di efficienza ed un possibile terreno d’incontro tra capitale e lavoro, una maglia bianconera che accomunava Luciano Lama con l’Avvocato Agnelli più di mille trattative».
Per il poeta Giovanni Arpino, «la Juventus è universale, il Torino è un dialetto. La Madama è un «esperanto» anche calcistico, il Toro è gergo».
Non tutti però riterranno sufficienti queste ragioni, ad iniziare da Achille Occhetto l’uomo della Bolognina. Tifoso del Torino ed ex segretario del Partito comunista, racconterà a SportivamenteMag che «essere granata nella Torino degli anni Quaranta del Novecento significava opporsi, anche senza averne cognizione. Il conformismo era bianconero, ma non vincente. Qualcosa, non molto, cambiò dopo la guerra: il Torino incarnava ragionevolmente la classe operaia […] In compenso, solo pochi anni dopo gli operai affluiti a Torino per lavorare alla Fiat o nell’indotto, tutti meridionali, capovolsero gli equilibri del tifo cittadino. Erano tutti invariabilmente juventini. E mi dovetti arrendere all’evidenza».
Più duro e per certi versi in linea con “l’ortodossia” del pensiero comunista fu Folco Portinari, al quale venne affidato il controcanto sull’Unità il 30 ottobre 1997, nel mentre si celebravano in una mostra i 100 anni dei bianconeri. «La Juventus è l’unica squadra in Italia che fin da principio si è identificata con un padrone, il suo padrone. Sempre quello. Con un passaggio ereditario di padre in figlio, ormai alla quarta generazione. Il padrone della Juventus, però, era ed è non un padrone qualunque, no quello juventino è il PADRONE, tutto maiuscolo, teologico, nel senso che ha tutte le prerogative attribuite a Dio […] Il padrone di cui si parla ha un nome che conosciamo bene perché corrisponde un poco al padrone d’Italia, Agnelli. Fin da questo dettaglio si comprendono molte cose: come possono andar d’accordo tori ed agnelli? La battuta è fiacca, lo so ma è quello che da tempo ci si scambia. […] Quando si determinarono gli schieramenti cittadini opposti, il Torino, maglia rossa, fu la squadra diciamo così proletaria, la Juve rappresentò la Fiat. Da una parte la classe operaia e dall’altra il capitale. Magari fosse stato così… L’immagine tenne fino alla fine della guerra, quando dalla Russia tornò il compagno Ercoli. Dio mio, chi potrà raccontare la nostra amara delusione, di idealisti traditi, quando vedemmo in tribuna d’onore Palmiro Togliatti tifare Juventus accanto agli agnellini, ai giovani Agnelli. Quel giorno ci accorgemmo che la lotta di classe era finita. Era stata un gioco. Infatti perdemmole elezioni e per andare al potere, mezzo secolo dopo, avremmo dovuto mollare su tutto, sul nome, sulla falce e il martello, sui simboli. Lì incominciò anche la fine del Toro. Non c’era più spazio per le bandiere. È anche per questa ragione che non amo la Juventus. Sarò più corretto: è per questa ragione che odio la Juventus».
Discorso a parte merita Fausto Bertinotti nato a Milano, nel quartiere di Precotto tifoso del Milan, ex Segretario Nazionale di Rifondazione Comunista dal 1994 al 2006 ex Presidente della Camera dei Deputati dal 29 aprile 2006 al 29 aprile 2008, Bertinotti la cui formazione politica risalente all’attivismo famigliare dovuto al padre Enrico, macchinista delle Ferrovie dello Stato era quella Socialista, in un’intervista rilasciata a Radio Popolare il 13 aprile 2017 in merito alla cessione del suo Milan alla cordata cinese capitanata da Yonghong Li si espresse così:
“Sono del tutto indifferente ai presidenti. Per fortuna uno tifa per una squadra per una larghissima componente inspiegabile e irrazionale. Nel tifo per me contano i colori, i calciatori, come espressione di una grande storia popolare. Se invece lo si considera un grande gioco di società, allora per affrontarlo bisognerebbe fare come Umberto Eco fece con la Fenomenologia di Mike Bongiorno“.
Quindi lei sta negando che per lei sia esistito un corto circuito tra la sua fede calcistica e la presidenza Berlusconi di quella squadra?
“Non me ne poteva importare di meno. Il Milan per me è la squadra dei casciavit. Quando ero bambino ero coppiano, quindi ero già pieno di vittorie. Non potevo anche tifare per l’Inter che vinceva tutto, e poi erano baüscia. A quell’epoca i casciavit erano quarant’anni che non vincevano un campionato. Uno come me non può interessarsi ai proprietari della squadra. Se invece vogliamo divertirci, la Cina – soi-disant comunista – che diventa proprietaria del Milan…”
E’ una bella rivincità…
“Ecco appunto, se uno vuole scherzare, la mette così”
Ma sono comunisti o no questi nuovi padroni del Milan?
“No, no. Non c’è bisogno di dire, in un commento su vicende leggere, che la Cina è un grande Paese pienamente inserito nella società capitalistica, in una competizione che lo porta a diventare, con molte probabilità, la nuova locomotiva dello sviluppo. Una grande potenza economica di mercato, governata anche da un partito che, a sua volta, si dice comunista. Però… non hanno neanche rinnegato Mao… quindi qualcosa resta, no? Pensi un po’ questo Milan che da un momento all’altro potrebbe mettersi tra i suoi distintivi anche quello di Mao…”
Le piacerebbe?
“Mah, di nuovo, se devo scherzare mi divertirebbe. Se devo parlare sul serio, anche questo mi lascerebbe del tutto indifferente. Cioè, non mi farei ingannare”
Come ultima cosa le vorrei chiedere una riflessione sull’uso politico che Berlusconi ha fatto del Milan.
“In politica gli sono stato avversario e, proprio in quanto avversario, conoscevo la sua forza, tanto che purtroppo siamo stati sconfitti più volte. Berlusconi ha colto un’onda di cambiamento che stava intervenendo nella cultura politica e, come un grande uomo di surf, ne ha preso lo slancio e l’ha governata. Pensiamo all’uso della televisione, della comunicazione di massa e, nella comunicazione di massa, certo il calcio è stato individuato come terreno egemonico, per usare un termine classico della politica”.
Grazie presidente.
“Grazie a voi. E que viva il Milan!”
Fonte: IlNapolista.it e Radio Popolare