I calciatori sono considerati a tutti gli effetti lavoratori dipendenti. Al riguardo, il legislatore del 1981 aveva chiarito ogni dubbio circa la natura subordinata del loro rapporto di lavoro, sennonché, consultando l’Accordo Collettivo, emerge l’assenza di un diritto che è alla base di ogni rapporto di lavoro subordinato, il diritto alla prestazione lavorativa: il lavoratore dipendente non ha soltanto l’obbligo di svolgere la prestazione di lavoro, ma anche il diritto alla sua esecuzione. Qualora tale diritto non sia riconosciuto, il lavoratore può presentare richiesta di risarcimento danni: non concederlo significherebbe, infatti, danneggiare la professionalità, la personalità e la salute del lavoratore stesso.
Ad ogni modo, nel calcio, la questione si pone in maniera parzialmente differente: l’art. 7 dell’A.C., riconosce al calciatore soltanto il diritto di partecipare agli allenamenti e alla preparazione precampionato con la prima squadra. Al contrario, la sua partecipazione alle singole gare dipende dalle valutazioni dell’allenatore, il quale ha il potere di schierare i calciatori in campo, secondo le proprie idee tecnico-tattiche. Qualora la previsione di cui all’art. 7 sia violata, l’atleta può, comunque, diffidare per iscritto la società, invitandola ad adempiere entro tre giorni dalla ricezione dell’intimazione e, in caso di inerzia, ricorrere al Collegio Arbitrale, chiedendo la reintegrazione ovvero la risoluzione del contratto, oltre al risarcimento dei danni. In buona sostanza, imporre ad un calciatore di allenarsi fuori dal gruppo, senza che ricorrano giustificati motivi, violerebbe la sua dignità professionale, con inevitabili ripercussioni sul piano psicologico.
Quanto al diritto di ricevere la retribuzione, l’Accordo Collettivo introduce un particolare sistema per la sua determinazione, includendovi gli emolumenti, le indennità e gli assegni dovuti in caso di trasferte, gare notturne e ritiri. Per di più, è possibile integrare la retribuzione fissa con una parte variabile, legata a risultati sportivi, individuali o di squadra, nonchè a obiettivi non sportivi individuali del calciatore. La retribuzione, peraltro, può essere sospesa nel caso in cui il calciatore sia stato sanzionato per illecito sportivo, doping, violazioni in materia di scommesse e per i provvedimenti disposti dall’Autorità giudiziaria. Per le stesse ragioni la società può presentare, poi, ricorso al Collegio Arbitrale, al fine di ottenere anche l’interdizione dalla partecipazione agli allenamenti.
Il calciatore ha anche il diritto di essere assicurato presso una Compagnia di primaria importanza contro le malattie e gli infortuni. La polizza deve essere stipulata prima dell’inizio della stagione sportiva, altrimenti, l’atleta non è autorizzato a svolgere la prestazione.
Il calciatore, infine, ha diritto al riposo settimanale, alle ferie, al congedo matrimoniale e all’indennità di fine carriera.
Una questione decisamente controversa riguarda, invece, l’eventualità che il calciatore possa svolgere, nel proprio tempo libero, un secondo lavoro: può farlo, ma solo al verificarsi di determinate condizioni, fissate dall’Accordo Collettivo. Infatti, l’intento è quello di consentire lo svolgimento di un’attività che non possa in alcun modo influenzare la professione sportiva: l’atleta che decide di intraprenderla, deve preventivamente comunicarlo per iscritto alla società. Peraltro, qualora l’attività fosse, oggettivamente o soggettivamente, incompatibile con l’esercizio di quella agonistico-sportiva, l’autorizzazione potrà essere respinta.
In più, il calciatore, contrattualmente legato ad una società, non può svolgere la propria prestazione in favore di altre, nè diffondere notizie riguardanti le strategie aziendali e di gioco. In realtà, l’obbligo di fedeltà si spinge ben oltre: gli atleti devono sempre agire con onestà e professionalità, sia in campo che fuori dal terreno di gioco, con il dovere di non compromettere in alcun modo la regolarità della prestazione sportiva e i risultati finali delle partite. L’inosservanza di tale dovere, oltre a violare i principi cardini dell’ordinamento sportivo, provocherebbe un danno all’immagine della società: in tal senso, l’Accordo Collettivo prevede espressamente il divieto di tenere comportamenti tali da poterla pregiudicare. Ancora, il calciatore è tenuto ad adempiere la prestazione nell’ambito dell’organizzazione predisposta dalla società, osservando le istruzioni tecniche e ogni altra prescrizione impartita per il conseguimento degli scopi agonistici.
Infine, completano l’elenco: a) l’obbligo del calciatore di partecipare a tutti gli allenamenti, nonchè a tutte le gare programmate dalla società; b) l’obbligo di custodire con diligenza gli indumenti e i materiali sportivi messi a sua disposizione c) l’obbligo di non intercedere nelle scelte tecniche, gestionali e aziendali; d) l’obbligo di curare la propria integrità psico-fisica: in particolare, al calciatore è vietato svolgere qualsiasi attività che possa compromettere la sua incolumità e la sua migliore condizione; e) l’obbligo di rispettare le norme concernenti la tutela della salute e la lotta al doping: la società, il CONI e la FIGC possono predisporre prelievi e accertamenti medici, anche periodici e preventivi, allo scopo di consentire la realizzazione dei controlli antidoping e salvaguardare la salute del calciatore. Per la violazione delle suddette disposizioni sono previste specifiche sanzioni sportive, secondo le indicazioni fornite dai regolamenti vigenti.
Fonte: altalex.com