“La felicità è dare un pallone a un bambino per giocare”, è questo uno dei passaggi più intensi e belli del lungo discorso tenuto in Vaticano da Papa Francesco ai giovani, in occasione dell’evento “Il calcio che amiamo” organizzato dalla Gazzetta dello Sport con la Santa Sede. Il Pontefice ha esortato il mondo del calcio a generare inclusione, solidarietà e amicizia, lanciando appelli a genitori, allenatori e ai grandi campioni. “Dietro a una palla che rotola c’è quasi sempre un ragazzo con i suoi sogni e le sue aspirazioni – comincia il Santo Padre -. In un’attività sportiva non sono coinvolti solo i muscoli, ma l’intera attività di un ragazzo. Lo sport è una grande occasione per imparare a dare il meglio di sé, con sacrificio e impegno. Ma soprattutto non da soli. Non da soli. Viviamo in un tempo in cui è facile isolarsi, creare legami virtuali, con tante persone ma a distanza. Il bello di giocare con un pallone è poterlo fare ad altri. Il pallone diventa un mezzo per invitare le persone reali, a condividere un’amicizia. Il calcio è un gioco di squadra, non ci si può divertire da soli. E se è vissuto così, può davvero far bene alla testa e al cuore in una società che esaspera il soggettivismo, quasi come un principio assoluto”.
IL PIÙ BELLO AL MONDO — “Tanti definiscono il calcio come il gioco più bello del mondo, io penso lo stesso – continua Papa Francesco -. Ma è un’opinione personale. Spesso si sente dire anche che il calcio non è più un gioco: purtroppo assistiamo, anche nel calcio giovanile, a fenomeni che macchiano la sua bellezza. Ad esempio, si vedono certi genitori che si trasformano in tifosi-ultras. Il calcio è un gioco, e tale deve rimanere”.

L’APPELLO AI GENITORI— “La felicità è dare un pallone a un bambino per giocare. Giocare rende felici. Semplicemente perché… piace. Giocare al calcio piace. Si rincorre un sogno, senza però diventare per forza un campione. È un diritto non diventare un campione. Cari genitori, vi esorto a trasmettere ai vostri figli questa mentalità e ad aiutarli a capire che la panchina non è un’umiliazione, ma un’opportunità di crescere. E di dare sempre il massimo: perché al di là della partita, c’è la vita che li aspetta”.
L’APPELLO AGLI ALLENATORI— “E voi allenatori avete un ruolo importante: siete dei punti di riferimento autorevoli per i ragazzi che allenate. Con voi passano tanto tempo. E siete figure altre rispetto ai genitori: tutto ciò che dite e che fate diventa insegnamento per i vostri atleti e lascerà un segno indelebile, nel bene e nel male. Vi chiedo di non trasformare i sogni dei vostri ragazzi in facili illusioni destinate a scontrarsi con il limite della realtà. A non opprimere la loro vita con forme di ricatto che limitano la loro fantasia, a nono insegnare scorciatoie che portino solo a perdersi nel labirinto della vita. Ma ad essere complici del sorriso dei nostri atleti”.
L’APPELLO AI GRANDI CAMPIONI— “Un’ultima parola voglio riservarla ai grandi campioni del calcio: non dimenticate da dove siete partiti. Da quel campo di periferia, da quell’oratorio, quella piccola società. Vi auguro di sentire sempre la gratitudine per la vostra storia fatta di sacrifici, vittorie e sconfitte. E sentire anche la responsabilità educativa, da attuare anche con una solidarietà e coerenza, per incoraggiare i più deboli a diventare grandi nella vita. E ai dirigenti custodite sempre l’amatorialità, che è una mistica. Che non finisca la bellezza del calcio, nei negozi finanziari. Grazie tanto, vi benedico tutti”.

Fonte: www.gazzetta.it

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