-Ciao Sig. Bonocore, torniamo indietro nel tempo e partiamo dall’inizio. Nel 1989 consegue la Laurea in Educazione Fisica a Firenze. Immaginava già dall’ora quello che sarebbe stato il suo futuro a livello professionale?

La mia passione per lo sport nasce sin da piccolo, questo grazie alla figura di mio padre, un marinaio.

Nella Marina la cultura sportiva è alla base e ricordo che da bambino, soprattutto quando era solito recarsi a mare, non c’era giorno che mio padre non mi allenasse dopo aver fatto il bagno in mare. Questo dimostra quanto la mia passione per lo sport ci sia sempre stata, sin da piccolo. Nel corso degli anni non ho fatto altro che coltivare questo mio interesse, tenendo bene in mente, sin dalle scuole medie, il percorso che avrei dovuto intraprendere per poter fare della mia passione, quella dello sport, il mio futuro.

Terminate le scuole superiori, ho frequentato il corso di Laurea in “Isef”(Istituto Superiore di educazione fisica), allora così chiamata la laurea in scienze motorie e dello sport e successivamente ho conseguito l’abilitazione di Preparatore Atletico Professionista presso la Scuola Allenatori di calcio a Coverciano (Firenze).

-E’ nel 1998 che tutto ha inizio. Dopo aver conseguito a Coverciano l’abilitazione da Preparatore Atletico Professionista, inizia il suo percorso professionale con il Pisa Calcio, diventando head coach della preparazione atletica. Qui ha la fortuna di partecipare alla vittoria del campionato di serie C2 nel 1999 e di una Coppa Italia nel 2000. Che ricordi porta con sé della stagione 1999/2000 con il Pisa Calcio?

Non posso che portare con me ricordi molto belli, essendo nato in provincia di Pisa, la maglia nerazzurra era il motivo per il quale da ragazzino quattordicenne mi recavo all’Arena Garibaldi. Per me Pisa rappresentava un magico punto di arrivo!

Dopo aver collaborato con diverse società dilettantistiche entrai a far parte del Pisa Calcio, iniziando dal settore giovanile fino ad approdare in prima squadra.

Ritengo che sia stata una bellissima esperienza perché è stata la mia prima da professionista, un importante inizio che poi si è concluso al meglio, con la vittoria di un Campionato e di una Coppa Italia, ricordi indelebili!

-Dal 2003 al 2007 sposa il progetto Empoli Calcio, ricoprendo il ruolo di preparatore atletico per le categorie Primavera e Allievi, oltre a essere ricercatore di talenti futuri attraverso l’Analisi dei dati fisici con test particolari di laboratorio effettuati sui ragazzi. Come si è trovato a Empoli? E’ durante i suoi anni in azzurro che è cresciuto maggiormente a livello professionale?

Empoli è stata una tappa particolare della mia carriera, perché provenivo da Pisa, da un Campionato di Serie C e da anni intensi di duro lavoro. Inizialmente ricordo che ero molto titubante della nuova avventura intrapresa, mi sembrava come se stessi facendo un passo indietro, ritornando nel settore giovanile, ma così non è stato!

Gli anni a Empoli sono stati meravigliosi, in uno, a mio avviso, dei migliori settori giovanili in Europa. Questo lo dimostra il gran numero di buoni calciatori che nel corso degli anni questa società è riuscita a sfornare dal proprio vivaio.

A Empoli mi venne concessa l’opportunità di creare il mio primo laboratorio, allo scopo di studiare i giovani talenti, ed è proprio qui che ebbe iniziò la mia passione per lo studio dei dati e la ricerca del giovane talento.

-Ha notato delle differenze dal calcio professionistico di quegli anni a quello di oggi?

Grandi differenze non ne vedo, se non che ad oggi nei settori giovanili ci sono ancora difficoltà nel lavorare sul singolo atleta, specialmente a livello fisico. Questo perché i tempi sono abbastanza ridotti e le società non dispongono né di professionisti in grado di seguire individualmente i giovani né di investimenti adeguati in strumentazione e tecnologia al fine di studiare i dati del calciatore così da capire come allenarlo, aiutandolo a migliorare. Il mezzo di allenamento più semplice diventa allenare solo con la corsa, in realtà il meno necessario per un calciatore.

Pertanto si fatica a tirare fuori i talenti e così facendo si aiutano poco le prime squadre.

-Ad oggi gli atleti vengono sottoposti a giocare un gran numero di gare, molto spesso ravvicinate, causando in loro non solo uno stress a livello fisico ma anche mentale. Questo lo dimostrano i tanti infortuni registrati durante l’anno nei diversi campionati e gli evidenti cali fisici da parte di squadre che arrivano stremate al termine del campionato. Cosa pensa a proposito di questo?

Penso che nel calcio al giorno d’oggi l’allenamento dovrebbe essere visto più a livello individuale, attraverso lo studio costante e giornaliero dei dati del singolo atleta. Se venisse studiato il singolo atleta e non l’atleta all’interno del gruppo, sicuramente attraverso allenamenti individualizzati e le esigenze del momento, ci potrebbero essere meno infortuni.

-Un anno molto importante del suo percorso che sono sicuro ricorderà con piacere è il 2008. Viene chiamato a lavorare come Allenatore personale di Alessandro Del Piero alla Juventus.

Saranno anni che segneranno non solo la sua carriera, ma anche quella del suo atleta. Un umile ragazzo, un top-player, semplicemente Alex Del Piero.

Durante questi anni attraverso la dedizione e il gran lavoro, il numero 10 bianconero risulterà il giocatore della Juventus con il maggior numero di presenze e di gol in Champions League e Campionato, fino ad alzare al cielo il ventottesimo titolo, lo scudetto della stagione 2011-12 con la Juventus di Antonio Conte.

Cosa ci sa dire di Del Piero? Qual è la cosa che più l’ha impressionata di un fuoriclasse come lui?

L’esperienza al fianco di Del Piero ha rafforzato la mia idea di quanto sia importante nel calcio l’allenamento individuale e quindi lo studio dei dati giornalieri dell’atleta, perché in ogni calciatore come in ogni essere umano, i dati fisici e psicologici possono variare a seconda del periodo che si sta vivendo.

E’ stato facile lavorare con Del Piero perché ho trovato un’atleta molto disponibile, pronto a dar vita a un nuovo metodo di allenamento. Con Alex nasce nel panorama Internazionale e Nazionale un nuovo modo di gestire l’allenamento del calciatore, fisico e singolo all’interno di una squadra.

Seguire Del Piero da un lato è stato semplice, ma d’altro canto dover gestire una macchina da Formula 1 come lui, è stato molto difficile. Il lavoro capillare e particolare effettuato nel corso degli anni, ha portato alla luce grandi risultati nonostante la sua età avanzata di allora.

-Qual è il suo più bel momento vissuto al fianco di Alessandro, che l’ha resa orgoglioso del lavoro fatto?

Tra i tanti momenti vissuti insieme, due ritengo siano per me i più importanti, i più salienti.

Ricordo nel 2008 quando al “Santiago Bernabeu “ la Juventus riuscì a vincere contro il Real Madrid, grazie ad una doppietta di Del Piero, quella fu una notte indimenticabile!

Un altro episodio molto bello è stato nell’ultimo anno di Alex in bianconero, con la Juventus, che allo “Stadium” pareggiava contro la Lazio, una partita molto importante che poteva compromettere la vittoria del Campionato.

Ricordo come se fosse ieri quel match. Alessandro sedeva in panchina e quando Conte decise di mandarlo a riscaldare per farlo scendere in campo, dalla tribuna attraverso gesti non eclatanti, così da non attirare l’attenzione di nessuno, riuscì a gestirgli il riscaldamento pre – gara. Questo testimonia la comunicazione che avevamo creato tra noi. Una volta entrato, con una delle sue magie riuscì a portare la Juventus alla vittoria finale del match.

-La determinazione, l’umiltà, lo spirito di sacrificio e l’allenamento, allo scopo di voler essere sempre un passo avanti agli altri. E’ questo che fa di un atleta un fuoriclasse?

Fuoriclasse si diventa se ogni giorno si vuole migliorare se stessi, questo è ciò che dico ai giovani da me in laboratorio.

Il top-player deve alzarsi ogni mattina dal letto sapendo in cosa deve migliorare, cercando con qualsiasi mezzo lecito di centrare l’obbiettivo del miglioramento quotidiano. Insomma deve avere la fame di migliorarsi ogni giorno. Lo stesso vale per il giovane calciatore che deve avere dentro questa fame, altrimenti talmente è elevata la concorrenza, che se non hai questa grande voglia di migliorare se stessi non riuscirai ad arrivare.

-Negli anni, come si è evoluto il calcio, così sono state realizzate nuove strumentazioni informatiche atte a catturare dati sensibili dell’atleta. Tra i diversi macchinari quale ritiene sia indispensabile per controllare in modo ottimale la crescita dell’atleta?

Io sono molto sensibile alla tecnologia e sono ormai molti anni che ne faccio uso. La tecnologia ha dato una grossa mano nel capire l’atleta e nel decifrarlo. Il mio studio dei dati viene effettuato attraverso il mio sistema “Cryptex”, che ho potuto inventare qualche anno fa, per decriptare l’atleta, studiando i suoi dati, inoltre uso nel mio laboratorio una pedana “BTS” che mi restituisce dati ogni secondo e lo “Smart Coach”, un sistema che permette di gestire l’allenamento individuale degli atleti.

-Al termine dell’avventura in bianconero di Alessandro Del Piero, ha continuato a seguirlo anche in Australia nel campionato “A-League”. Quali sono le differenze dal calcio italiano che ha notato durante questi anni in terra australiana? Quanto ha influito in lei l’approcciarsi ad una nuova realtà a livello sportivo come l’Australia?

La differenza è che quando sbarcammo in Australia nel 2013, tecnicamente e tatticamente erano un po’ indietro, ma dal punto di vista fisico essendo una Nazione dalla grande cultura per lo sport, erano in grado di sopperire a queste carenze tecnico-tattiche.

Quel che porto con me dalla mia esperienza in terra australiana è la loro cultura del lavoro. In quegli anni ho potuto studiare le metodologie di allenamento delle squadre di Rugby, vedendo come allenano la forza e le capacità di scatto, strutturando delle fantastiche metodologie di lavoro che possono essere applicate nel calcio e che io tutt’oggi propongo ai miei giovani giocatori.

-Nel 2014 fonda il suo Laboratorio di allenamento in Italia, precisamente a Pisa in Toscana.

Sì, dopo aver fatto nel corso degli anni diverse esperienze con prime squadre e con calciatori top-player, ho sentito l’esigenza di costruire un mio laboratorio per cercare di trasmettere ai giovani una nuova cultura del lavoro, il lavoro individualizzato.

In laboratorio si entra per questo uno alla volta, analizzando i dati dell’atleta che lavora in quel momento, cercando di capire il tipo di allenamento che deve svolgere, perché è evidente che a livello giovanile non si può allenare ogni atleta allo stesso modo dal punto di vista fisico. A differenza del lavoro tecnico e tattico, quello fisico ha la necessità di essere individualizzato.

L’apertura del mio laboratorio è stato un mio avvicinamento nei confronti dei giovani atleti. Sentivo che dovevo dare un apporto importante al giovane calciatore, che è lì ad aspettare che qualcuno gli dia una mano.

-In seguito all’esperienza vissuta al fianco di Del Piero, un altro atleta decide di farsi seguire da lei. Giuseppe Rossi, o meglio “Pepito Rossi”, un altro fuoriclasse che a seguito dei tanti infortuni avuti nel corso della propria carriera non è mai riuscito ad esplodere come avrebbe potuto, date le grandi qualità espresse nel corso degli anni.

E’ proprio insieme a lei che Rossi riesce a raggiungere uno stato di forma ottimale, così da essere protagonista nel 2016 di una stagione strepitosa in Liga con il Levante, 6 reti e 2 assist in 18 gare. Cosa ricorda di ”Pepito” e della sua gran stagione in Liga?

Con Pepito Rossi sono stati due anni intesi, meravigliosi, privi di infortuni, con dati che attestano il suo stato di forma ottimale. E’ stato bello dare un supporto a lui, un grande appassionato di calcio, che ama follemente questo sport. E con una grande cultura del lavoro, insomma un fuoriclasse. Senza tutti i diversi infortuni che hanno contraddistinto la sua carriera, avrebbe potuto giocare in una delle squadre più forti d’Europa e ad affermarlo non sono solo io, ma l’ha detto ad alta voce il Calcio Internazionale.

-Non pensa che se il percorso di Rossi insieme a lei fosse iniziato prima, forse ad oggi si avrebbe un ricordo diverso di Pepito e della sua carriera?

Ritengo che non sia possibile stabilire quello che sarebbe potuto accadere se io avessi iniziato prima a lavorare con Rossi.

A volte gli infortuni non sono decifrabili, purtroppo possono derivare da problemi che vanno oltre il tipo di allenamento effettuato. Tuttavia un giocatore come Rossi, durante la sua carriera avrebbe dovuto seguire un allenamento più certosino ed essere aiutato in maniera più ravvicinata.

-Come vede il calcio del futuro? Di quali strumenti innovativi, allo scopo di preservare l’atleta da infortuni e traumi, ha necessità?

In futuro vedo un calcio dove risiedono atleti e uomini che chiederanno di più a se stessi e al mondo dello sport.

Vedo un calcio dove ogni calciatore arriverà al centro sportivo di allenamento ed effettuerà il suo lavoro fisico personalizzato con il proprio preparatore, oppure arriverà al campo con il proprio lavoro già effettuato a casa propria, perchè magari avrà delle strutture adeguate per poter gestire il proprio corpo nel migliore dei modi.

In futuro immagino che il calciatore sarà gestito a livello fisico in modo più personalizzato e sarà lui stesso ad organizzare la propria vita fisica e non all’interno della società , dove svolgerà l’allenamento tecnico tattico. Vedo poi un futuro dove la tecnologia la farà da padrone, specialmente con l’utilizzo dell’intelligenza artificiale che ad oggi sta penetrando in tutti gli ambienti. Non nascondo che ad oggi anche io sto lavorando su alcuni progetti, dove una delle componenti essenziali sarà l’intelligenza artificiale.

La curiosità e la voglia di andare oltre, penso siano gli stimoli più grandi alla base delle sue continue ricerche in ambito sportivo.

Sì, non mi sono mai accontentato, ed è per questo che ogni giorno mi alzo e cerco delle idee da sviluppare. Ho ancora molte idee nel cassetto da realizzare in futuro e sono convinto che pian piano anche se ci vorrà del tempo le svilupperò.

Nello sport c’è ancora tanto da fare e da realizzare, perché non è vero che nel calcio non ci sia più da inventare niente. In ogni ambito lavorativo le cose piano piano cambiano e possono contribuire ad apportare dei grandi risultati. Ad esempio oggi c’è la VAR che fino a poco tempo fa nessuno avrebbe potuto ipotizzare che sarebbe diventata fondamentale nel calcio moderno e quindi anche per poter esplorare l’atleta, sicuramente ci sono ancora tante idee che si possono sviluppare grazie all’aiuto della tecnologia.

-Ha degli obbiettivi futuri che vorrebbe si realizzassero?

Sì, ad oggi sto lavorando fortemente sul mio Cryptex insieme al mio compagno di viaggio e socio Roberto Angiolucci che risiede a New York. Abbiamo delle idee importantissime che daranno una grossa mano e che dovranno sconvolgere le abitudini di allenamento del calciatore e come ho già detto prima alcuni algoritmi accompagnati dall’intelligenza artificiale sono i condimenti di queste idee che spero di portare a termine al più presto, così da dare una mano e cambiare le abitudini sia dei giovani calciatori che dei top-player.

Francesco De Crescenzo

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