Una giornata che scuote la storia dello sport italiano, e che rimette, anche nel nostro straordinario Paese, l’atletica al posto che merita. Quello di “regina”, scortata, finalmente, da alfieri di livello mondiale. Le medaglie d’oro di Marcell Jacobs nei 100 metri (9.80, record europeo, migliorato dopo averlo eguagliato in semifinale, 9.84) e Gianmarco Tamberi nell’alto, arrivate nel giro di 15 impensabili minuti di estasi sportiva, diventano il simbolo, perlomeno nel nostro Paese, dell’Olimpiade di Tokyo. Oro nei 100 metri, come mai accaduto nella storia dei Giochi (e mai anche a livello globale nello sprint breve; sul prolungato, il nome di Pietro Mennea lascia ancora senza respiro). Oro nel salto in alto, come mai accaduto prima ai Giochi (ma qui al maschile, perché tra le donne ci riuscì l’immensa Sara Simeoni, a Mosca 1980). Un susseguirsi di emozioni incredibili, con lo stupore che si fonde con la gioia, e segna i ricordi per sempre.

 

Ci stropicciamo gli occhi, lo facciamo una, due volte, ripetiamo di nuovo, ma è tutto vero, è proprio così: il primo oro olimpico dei 100 metri dopo l’epopea di Usain Bolt è nostro. È di Marcell Jacobs. È italiano l’uomo più veloce del mondo. È la notte perfetta dell’atletica azzurra: attendi un titolo olimpico in pista o in pedana dal lontano 1984 e in meno di venti minuti ne piombano due. “…Sarà dura prendere sonno adesso che sono il campione olimpico dei 100 metri. Ehm, cosa ho detto? Sono davvero il campione olimpico?!”. Servirà qualche giorno per rendersene conto. “Ho chiesto al mio corpo l’ultimo sforzo prima di riposare. Sono arrivato ai blocchi concentrato soltanto su me stesso, senza guardare gli avversari, soltanto la mia corsia. Quando ho visto che ero davanti ho urlato fortissimo, c’era Gimbo in mezzo alla pista e ci siamo saltati addosso. Conosco la sua storia, tutte le batoste che ha preso lui. Le tante che ho preso io”.

Marcell non sta nella pelle mentre dialoga con la stampa italiana e internazionale nella pancia dello stadio Olimpico di Tokyo, teatro di qualcosa che – sottovoce, qualcuno poteva anche pensarlo – era un sogno troppo grande da immaginare: “Non vedo l’ora che sia domani, che suoni l’inno, la cerimonia della medaglia. È un palcoscenico a cui non ero abituato, ma quest’anno sto vincendo tutto. Un oro olimpico non te lo toglie nessuno, probabilmente il record sì. Prima o poi. La terrò appesa sul muro principale di casa mia per sempre. Ci sono io, dopo Bolt: ho visto qualsiasi sua gara e vincere con un tempo migliore del suo ultimo oro è pazzesco. È dedicato all’Italia, alla mia famiglia, ai miei bambini, al mio team. Siamo arrivati qua determinati, mi sono sempre ripetuto… cosa hanno gli altri più di me? Unico neo. Quando ho visto 9.79 mi piaceva di più di 9.80…”. Incontentabile. Fenomenale. Campione olimpico.

Esistono notti che non potrai mai dimenticare. Notti da favola. Attimi che danno un senso a una carriera. Che asciugano le lacrime. Che ti spediscono nella leggenda. Oro, oro, oro, Gianmarco Tamberi è campione olimpico nella serata più entusiasmante dell’atletica azzurra. “È pazzesco, ho sentito il cuore che mi esplodeva, un’emozione così forte non l’avevo mai provata – urla, grida, abbraccia chiunque gli capiti vicino – fino all’altro ieri non sapevo nemmeno se ne fosse valsa la pena. Se fosse stato giusto tutto quello che ho fatto, tutte le lacrime versate. Vincere un oro olimpico, dopo quell’infortunio tremendo a pochi giorni dalle Olimpiadi di Rio, vale più di qualsiasi altra cosa”. Se lo sentiva. Lo voleva. Lo aspettava come si attende qualcosa di prezioso, di raro. “Non vedevo l’ora di fare questa finale, sapevo che qualcosa di magico sarebbe successo. È stato il punto fisso il giorno stesso che ho iniziato la riabilitazione. È stato il mio mantra. Ogni difficoltà, ogni momento in cui le cose non funzionavano mi dicevo… ‘Gimbo, dovrà funzionare quel giorno, solo quel giorno, il resto non importa’. Sapevo che c’era la possibilità di riuscirci. Così è stato”.

Un oro condiviso con un altro fenomeno. Un campione vero, come Gimbo. Un amico leale e presente, che non è mai mancato nei momenti di sconforto. Anche per Barshim un percorso senza errori a 2,37, poi tre tentativi senza successo a 2,39. A quel punto, in un altro mondo sarebbe stato spareggio. Non nel mondo di Gimbo e Mutaz: “Per me è un grande amico, non ho mai nascosto che sia il più forte saltatore di tutti i tempi, ed è l’unico che insieme a me è passato attraverso un infortunio tremendo. Vederlo saltare e vincere l’oro olimpico insieme a me è la cosa più bella che potesse capitare. Chissà quante volte ci siamo detti… ‘t’immagini cosa sarebbe salire sul podio olimpico insieme?’. È successo. Non c’è stato bisogno di parlarci, c’è bastato guardarci e darci un abbraccio. Nessuno dei due voleva togliere all’altro la gioia più immensa della propria vita. Perché entrambi siamo passati in un vortice che ti risucchia, infortuni tremendi. Ho passato anni terribili e non ho mai voluto accontentarmi di un piccolo traguardo. Ho sempre pensato all’oro olimpico. Mai, in questi anni, mi accontentavo di ciò che avevo raggiunto. In quello sguardo è esplosa la nostra emozione infinita”.

In una giornata straordinaria, con due medaglie d’oro per gli azzurri dell’atletica, allo stadio Olimpico di Tokyo il presidente del CONI Giovanni Malagò esprime la sua gioia: “Vale sempre la pena di credere in qualcosa che sembra impossibile da realizzare. Sono molto felice per l’atletica italiana, perché oggi in Italia c’è l’uomo più veloce al mondo e l’uomo che salta più in alto nel mondo. Complimenti alla Federazione, al presidente Stefano Mei e agli atleti che hanno reso orgogliosi tutti gli italiani”.

Alla sua prima Olimpiade da presidente della Federazione italiana di atletica leggera, Stefano Mei festeggia una doppietta d’oro: “Siamo in un’altra dimensione, con due azzurri che hanno riscritto la storia dell’atletica, Marcell Jacobs e Gianmarco Tamberi. Ma è soltanto la punta dell’iceberg, perché tutta la squadra sta riscrivendo la storia. Tutti si stanno comportando come abbiamo chiesto, cioè dando il massimo, e anche come numero di finalisti siamo molto avanti. Manca ancora una settimana di gare e dobbiamo chiuderla bene. È da tutta la stagione che Jacobs va fortissimo nei 100 metri, qui è riuscito ad arrivare al massimo della forma. Per Tamberi c’era un appuntamento con la storia e non l’ha mancato. In una delle più belle gare di salto in alto di sempre, Gimbo e Barshim hanno scelto di dividersi la vittoria, che è il simbolo dell’unione tra due amici. Oggi l’atletica italiana ribadisce il suo valore, grazie a loro e grazie a chi ha lavorato sul territorio anche nei momenti più difficili, quando lo sport era fermo, e che abbiamo voluto premiare con una formazione molto ampia”.

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