È uno degli uomini più attesi, nella squadra azzurra. Anche perché, il suo 2021 è stato magistrale. Titolo europeo indoor dei 60 metri con record italiano a Torun, ad inizio marzo; primo crono in carriera sotto i 10 secondi e record italiano dei 100 metri firmato in maggio a Savona (9.95). Da lì, una fiducia crescente, con apparizioni nei meeting della Diamond League da brividi. Marcell Jacobs, adesso, è pronto all’esordio olimpico. Per provare a compiere un’impresa: mai un atleta italiano è arrivato alla finale dei 100 metri ai Giochi. “È un obiettivo difficile, certo, ma obiettivamente alla mia portata”.

Bastano queste parole, per inquadrare la situazione ed il personaggio. Lamont Marcell Jacobs, il texano di Desenzano del Garda (nato a El Paso da madre italiana e padre americano, ma trasferitosi nel bresciano a soli 3 anni) non ha paura di dire quello che sogna. “Del resto, questo non è solo quello che pensano gli altri di me, ma anche il mio obiettivo. È quello che voglio, che mi sono fissato come traguardo stagionale. È vero, siamo in tanti a correre per la finale: gli statunitensi Bromell, Baker e Kerley, anche se di solito statisticamente un americano si perde per strada; i sudafricani Simbine e Leotlela; il canadese De Grasse, che non sbaglia un colpo; il giapponese Yamagata, il cinese Su, e altri ancora. E ovviamente anche io”.

Tutto si può dire, tranne che i pretendenti siano pochi.
“Siamo tanti, è vero, ma credo che sia anche normale ad un’Olimpiade. Bisognerà vedere quello che succederà in campo, nei turni, perché magari a questi nomi se ne aggiungeranno altri. Dipende da tanti fattori, dalle condizioni esterne, dalle condizioni mentali degli atleti: e poi, alla fine, chi sbaglia meno porta a casa il risultato. Che tempo servirà per la finale? Non voglio pensarci, in passato non sono mai riuscito ad indovinarlo, come ai Mondiali di Doha. Sento solo che si dovrà correre forte, e tanto mi basta”. 

Lo stadio vuoto può condizionare?
“Mah, per quanto mi riguarda, direi non più di tanto. Certo, non è bello che non ci sia il pubblico a sostenerti. Ma nella nostra specialità, non c’è normalmente tanta interazione con la gente, come per esempio per i saltatori. Alla fine non influirà più di tanto”. 

Un italiano in finale nei 100, però, ai Giochi olimpici non c’è mai arrivato. È un peso o uno stimolo?
“No, decisamente uno stimolo. E mi fa anche piacere che le persone ci contino, non è un problema. Vuol dire che tanti credono in me, che mi hanno conosciuto in questi mesi, in questi anni di esperienza sul campo, e adesso vogliono vedermi arrivare lontano. Sono attestati di stima, che mi danno energia”.

Il 2021 è stato un anno da incorniciare, arrivato dopo tante stagioni difficili, tra infortuni e delusioni.
“Lo ripeto spesso: non sarei quello che sono oggi, senza aver preso quelle batoste. Mi hanno fatto crescere, maturare come uomo e come atleta. Oggi sento di sapere quello che voglio, sono più sereno, corro per raggiungere i miei obiettivi. La famiglia, la mia compagna, i miei bambini, mia madre, mi mancano. Il pensiero di loro mi aiuta a superare le difficoltà”.

Tokyo per l’impresa individuale, ma anche per la staffetta 4×100.
“Assolutamente. Credo che si possa correre per andare in finale, e se tutto andrà bene, anche per provare ad arrivare non lontano dai migliori. Siamo un gruppo molto affiatato, anche se in questa fase, prima della gara individuale, con Filippo Tortu siamo giustamente più distanti. Quando arriverà il momento, sapremo fare squadra”. 

Com’è, stare alle Olimpiadi?
“Me la sto godendo. Essere qui, al villaggio, è una sensazione unica, il sogno di ogni atleta. Sì, era anche il mio. Uno dei miei sogni, non l’unico”.

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