Metafora di questa storia che vi raccontiamo oggi è il film “La classe operaia va in paradiso“ del 1971 diretto da Elio Petri, scritto con Ugo Pirro, vincitore del Grand Prix per il miglior film al Festival di Cannes 1972.
Attori protagonisti due leggende del cinema italiano: Gian Maria Volontè e Mariangela Melato.
Storie calcistiche che sanno di impresa, di leggenda, quando l’imprevedibile supera ogni immaginazione.
Il calcio è bello anche per questo perché non c’è niente di scontato.
Storie come queste fanno bene al calcio, ai suoi tifosi ed appassionati.
Storie in cui Davide sconfigge Golia, il povero vince sul ricco, metafore di storie in cui un figlio di un operaio precario o disoccupato può divenire medico, alto dirigente, affermato professionista ed imprenditore.
La scala sociale si rimette in moto, i valori contano, ma contano anche la passione, l’ingegno,la determinazione, i sogni.
Niente è scontato, tutto da scrivere e raccontare.
Storie come queste appunto danno nuova linfa ed energia a questo sport troppo spesso accostato ingiustamente a fenomeni negativi come doping, violenza negli stadi, scommesse illecite, profitti finanziari esosi.
Ma il calcio è ben altro, il calcio è quel movimento popolare che parte dall’estremo campo di periferia di una città e si materializza in apoteosi generale della passione che contagia, sette giorni su sette, miliardi di tifosi in tutto il mondo.
In fondo il primo movimento che ha incarnato la globalizzazione è stato proprio il calcio, però il calcio è democratico, ha bisogno di tutte le sue componenti: federazioni, società, dirigenti, atleti, tifosi, appassionati.
E’ una catena perfetta: ogni componenente non puo’ prescindere dall’altro.
Non è uno sport d’élite, anzi nasce povero con un pallone di pezza e un campo di zolle con le porte improvvisate da tronconi di legno, le magliette frutto di congeniali invenzioni creative della necessità che fa la virtu’.
Così è nato il gioco più bello del mondo, non dimentichiamocelo.
Oggi vi parliamo dell’Hellas Verona che nel 1985 conquisto’ il suo primo e unico scudetto.
Sono passati 33 anni, ma i veri tifosi scaligeri e la citta’ di Verona non hanno mai dimenticato quel miracolo.
Ma dopo 33 anni che fine hanno fatto gli artefici di quel primo e unico scudetto? Andiamolo a scoprire. In porta c’era Claudio Garella, il portiere che parava meglio con i piedi che con le mani, detto anche Garellik, arriva a Verona nel 1981 e ci resta fino al 1985anno dello scudetto.
Dopo il ritiro dal calcio giocato Garella e’ restato nel mondo del calcio, prima come allenatore in Prima Categoria, poi come dirigente (oggi e’ il dirigente del Barracuda, squadra di Torino di prima categoria).
Domenico Volpati era un difensore che arrivò al Verona dopo molta gavetta: dal campionato dilettanti con il Borgomanero per poi arrivare al Verona nel 1982 e restarci fino al 1988, vincendo lo scudetto all’eta’ di 34 anni.
Tricella, suo ex compagno e capitano nel Verona, disse: “Volpati è stato il cervello fantasioso di quella storica squadra. Preciso, altruista, piedi buoni ma anche gran faticatore. Gli dobbiamo tutti molto”.
Oggi e’ un dentista ed ha uno studio a Cavalese in Trentino.
Roberto Tricella, libero e capitano di quel Verona, ricorda così quei momenti: “Di quella magica squadra e del suo fantastico mister si è raccontato tutto. Perfino che appendevamo la formazione ufficiale (scritta rigorosamente a biro) con un cerotto al muro dello spogliatoio pochi minuti prima di scendere in campo: te lo immagini oggi con gli iPad e le lavagne elettroniche? Aneddoti a parte, però, vorrei ribadire che quel torneo, vinto restando in testa dall’inizio alla fine, non fu un caso fortuito. Bensì il frutto di un team che, prima e dopo lo scudetto, fece comunque bene”. Oggi e’ un investitore immobiliare.
Silvano Fontolan era lo stopper, un centrale di difesa per intenderci, arcigno e molto tenace. Resta al Verona dal 1983 al 1988. Dopo la carriera di calciatore prosegue allenando tra B e C (Lega Pro) il Como per poi proseguire tra C e D. Ultimo incarico nel calcio nel 2013 sempre nel Como. Ha pubblicato un libro “l’Agenda annuale di allenamento”.
Luciano Marangon, terzino destro, arriva nel 1982 e resta fino al 1985.
Dopo il ritiro dal calcio giocato intraprende la carriera di procuratore, oltre ad essere proprietario di un beach club a Ibiza. Nel 2011 ha pubblicato l’autobiografia “Luna tonda”.
Pietro Fanna era un’ala sinistra dall’ottima tecnica, velocità e fantasia, giocatore completo già in tenera età. Gioca nel Verona dal 1982 al 1985, anno dello scudetto,poi ritorna per chiudere la carriera nel 1989 fino al ritiro nel 1993. In una intervista del 2015 disse: “Mi prendo tutto il tempo che mi serve per godermi la vita e gestire le mie passioni. Ho fatto delle scelte e non sono più dentro al mondo del calcio anche se continuo a seguire tutto molto da vicino. Da circa 2 anni lavoro per la Radio Ufficiale dell’Hellas Verona, commento le partite e seguo sempre le vicende del gruppo di Pecchia. Mi piace e mi diverto, è una bella esperienza”.
Luciano Bruni era un centrocampista centrale, giocò nel Verona dal 1983 al 1989; un giocatore che, nella fortuna dello scudetto, ebbe anche la sfortuna di avere due infortuni in carriera che lo costrinsero a restringere il cerchio della sua carriera: prima nella stagione 1981/82 rottura dei legamenti,quando ancora giocava nella Fiorentina, mentre l’altro nel 1987 nel Verona al ginocchio che lo mise fuori per un anno intero. Dopo il ritiro dal calcio nel 1994,diventa allenatore, oggi e’ il tecnico del Brescia Primavera.
Antonio Di Gennaro era un centrocampista con caratteristiche da regista. Arriva nel 1981 al Verona e resta fino al 1988.
Dopo il ritiro prova la carriera da allenatore, prima come vice-Terim nel 2000/01 nella Fiorentina esonerato insieme al tecnico turco.
Nel 2014 diventa club manager del settore giovanile del Bari, ma poi lascia la carica per diventare opinionista di calcio in tv.
Ha lavorato per Sky come commentatore televisivo al fianco di Maurizio Compagnoni e poi per Mediaset Premium.
Hans-Peter Briegel era un terzino sinistro, il tedesco arriva nel 1984 e resta fino al 1986. Dopo essersi ritirato nel 1988 diviene allenatore, vaga tra le squadre di club in Germania e Turchia e nelle nazionali di Albania e Bahrein, poi lascia nel 2007 dopo aver allenato l’Ankaragücü (Turchia).
Briegel è rimasto molto legato all’Italia, in particolare alla città di Verona, dove si reca ogni anno per andare all’Arena per vedere l’opera.
Giuseppe Galderisi soprannominato “Nanu” per la sua altezza, 168 centimetri, è un attaccante agile, potente, capace di calciare indifferentemente di destro o di sinistro. Il suo tiro dai sedici metri è forte e preciso e, malgrado la statura, emergeva in elevazione grazie alla sua scelta di tempo.
Il suo ruolo iniziale era quello di mezza punta, ma è diventato uomo da area a tutti gli effetti. Arrivò al Verona nel 1983 restando fino al 1985.Dopo il ritiro ha intrapreso la carriera da allenatore.
Preben Elkjær Larsen, attaccante danese, arrivò nel 1984 e restò fino al 1988. Potente e scattante, difficile da fermare nelle progressioni palla al piede in area avversaria. Ricorda di quei tempi: “Non è che io all’epoca sapessi molto dell’Italia e nemmeno di Verona. Fu mia moglie a spingere. Disse: andiamo subito. Credo che tanta convinzione avesse a che fare con Giulietta e Romeo”. Le curiosita’ sul danese erano che fumava le sigarette e che portava i mocassini scalzo. Oggi commenta calcio per una tv danese.
Mauro Ferroni, difensore mastino del Verona, ricordato anche perché in quel periodo era stato il marcatore di un certo Diego Armando Mardona. Arrivò nel Verona nel 1983 per restarvi fino alla conclusione della sua carriera nel 1988. Alla domanda su che fine ha fatto Mauro Ferroni lo stesso ex calciatore risponde così: “Sono qua, vivo a Verona, questa è diventata la mia città. Qui ci sono i miei amici, qui sento sempre un grande affetto ed è una cosa bellissima. I tifosi che mi riconoscono, che mi fermano, che ricordano. Bello. Questo vuol dire tante cose non solo lo scudetto”.
Franco Turchetta, detto il “Turco” diminutivo del suo cognome, era un centrocampista che poteva anche giocare in ruoli avanzati come l’attaccante. Era un ripiego, visto che il suo troppo buonismo non andava a braccetto con la cattiveria che c’era nel calcio anni ’80. Lui ricorda: “Alcuni dicono che era la mia indole a limitarmi, io dico che di me, anche tornando indietro, non cambierei niente…E poi cos’è questa cattiveria tanto esaltata in certi casi?”.
Arrivò nel Verona nel 1984 restando fino al 1986. Oggi Franco Turchetta continua a giocare a calcio in diverse squadre a livello amatoriale.
Luigi Sacchetti, centrocampista, militò nel Verona dal 1982 al 1986, per poi tornare nel 1987 fino al 1988. Si è rivelato un giocatore prezioso per la duttilità che gli permetteva di ricoprire diversi ruoli a seconda delle esigenze tattiche, sobbarcandosi un faticoso lavoro di interdizione e raccordo a centrocampo, senza disdegnare anche pericolosi inserimenti in fase offensiva, con un potente tiro. Sacchetti dopo il ritiro è diventato allenatore fino al 2015 allenando come ultima squadra lo Zevio squadra di Promozione in Veneto. Dario Donà, centrocampista, giocò soltanto una stagione nel Verona 1984/85 in tempo per vincere lo storico scudetto. Ad un giornalista dice oggi che fa il commerciante: “Sai, una volta facevo il calciatore, ho persino vinto uno Scudetto!” il giornalista crede di essere preso in giro e gli dice “Sì certo, e come ci sei finito qui?”. L’ex calciatore gli risponde: “Beh, sono sempre stato un calciatore discreto e già sapevo che il calcio non mi avrebbe sfamato per sempre”. Appena due presenze per entrare nella storia del club scaligero.
Fabio Marangon, difensore fratello minore di Luciano, anch’esso nel Verona. Fabio arriva nel 1984 e resta fino al 1987, per poi tornare nel 1988/89 per una stagione. Dopo il ritiro da calciatore si ritira a vita privata. Sergio Spuri era il secondo portiere di quel Verona, arrivato nel 1983 per restare fino al 1986, gioca solo in Coppa Italia, senza mai scendere in campo in campionato. Dopo il ritiro nel 1998 diventa allenatore tra la Promozione e l’Eccellenza, ma nel 2008 abbandona definitivamente.
Il video dei goal stagione sportiva 1984/85.
Basterebbe una frase di Fanna a spiegare quello scudetto, bellissimo e irripetibile: “Con Bagnoli ci siamo sentiti come uccelli fuori dalla gabbia”. Per capire Bagnoli basterebbe un episodio. Nel marzo 1985, con il Verona in testa alla classifica fin dalla prima partita, l’Associazione allenatori organizzò un convegno sul tema “Evoluzione tattica del calcio mondiale”. C’erano tutti, da Trapattoni a Sonetti. Bagnoli, figuriamoci, in penultima fila. A un certo punto lo chiama il coordinatore, Marino Bartoletti, per illustrare il fenomeno-Verona. Bagnoli sale sul palco, si tocca il naso (fa sempre così quando è incerto sull’avvio) e dice: “Ecco, adesso mi tocca fare la figura dello stupido perché non c’è niente da spiegare. Dico solo una cosa: il Verona gioca un calcio tradizionale, che noi facciamo pressing lo leggo sui giornali. Io in campo non l’ho mai notato. Scusate, ma mi chiedete una ricetta che non ho”.
La ricetta in realtà era già nota: “El tersin fa el tersin, el median fa el median”. Ha un modo tutto suo di parlare, Bagnoli. Mescola il suo primo dialetto, milanese, con quello di Verona: dove ha giocato, ha messo su famiglia, ha allenato e vive. Cosa gli resta dello scudetto di trent’anni fa? “L’affetto della gente, in città, e dei miei giocatori. Ogni tanto ci si ritrova per una partita di beneficenza. Le feste, una ogni cinque anni. E ogni volta che vedo tutta ‘sta gente contenta mi dico che abbiamo fatto qualcosa di bello. Tutti insieme, voglio sia chiaro. I giocatori, il ds Mascetti, il presidente Guidotti, il patron Chiampan, la città che non ci ha messo pressione. E anche un po’ di fortuna: avevo una rosa di 17 giocatori per campionato, coppa Italia e coppa Uefa. Si infortunavano uno alla volta, potevo metterci una pezza”.
Una rosa di 17 giocatori. Ecco perché parliamo di uno scudetto irripetibile, ma anche di un materiale umano, non solo tecnico, di cui si sono perse le tracce. Sapete in base a quali informazioni Bagnoli chiedeva questo o quel giocatore al suo amico Ciccio Mascetti? “Sfogliavo l’almanacco Panini e cercavo centrocampisti da tre-quattro gol a stagione”. Era stato operaio, poi calciatoreoperaio, poi allenatore-operaio.
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