Il c.t. dell’Uruguay, che ha commosso tutti esultando con la sua stampella dopo la vittoria con l’Egitto, nella conferenza stampa della vigilia del match con l’Arabia Saudita vinto dagli uruguagi con goal vittoria di Saurez, ha parlato dell’importanza del calcio per l’Uruguay: “Siamo riusciti a riannodare un filo e oggi siamo felici sapendo che tutto il Paese è orgoglioso di noi”.

Oscar Washington Tabarez è un uomo che nessun appassionato di calcio può non apprezzare. Una persona perbene, mai polemico, con modi gentili e che in oltre quarant’anni di carriera non è mai andato fuori le righe. L’allenatore uruguaiano è diventato uno dei grandi personaggi di Russia 2018. Perché in tanto hanno scoperto che l’ex tecnico di Milan e Cagliari non è in grande forma, una sindrome neurologica gli ha creato grossi problemi agli arti inferiori.

L’ingresso in campo con la stampella e l’esultanza di Tabarez per il gol vittoria con l’Egitto sono due immagini belle e commoventi. Il ‘Maestro’ si è presentato in conferenza stampa e ha tenuto davvero una lectio magistralis, ma da vero ‘Maestro’ ha parlato della storia del calcio uruguagio, del perché la ‘Celeste’ a un certo punto è scomparsa dal nucleo delle big e ha commentato le immagini di quei bambini che a scuola hanno festeggiato il successo con l’Egitto

Il ‘Maestro’ ha parlato di storia, quella del calcio e ha raccontato dell’Uruguay che vinceva e dominava tra gli anni ’20 e il 1950. Poi un lungo oblio. Tabarez ha confessato apertamente di aver pensato a come risollevare le sorti del calcio uruguagio. Ed è riuscito nel suo intento, modestia a parte:

Quando gli inglesi portarono il calcio in SudAmerica noi diventammo rapidamente una potenza. Vincemmo due Olimpiadi, nel 1924 e nel 1928, quando ancora non c’era la Coppa Jules Rimet. Poi quando è nato il Mondiale abbiamo vinto due volte la Jules Rimet. Eravamo un colosso del calcio. Quando la vita mi ha regalato tre-quattro anni sabbatici, senza lavoro, pensavo a come riannodare questo filo. Mi chiedevo come riportare l’Uruguay a dominare superando il limite demografico di questo piccolo Paese con pochi abitanti, e modestia a parte, qualcosa abbiamo fatto, da qualche anno siamo una nazionale difficile per chiunque.

A Tabarez poi è stato chiesto se aveva visto quel video, divenuto rapidamente cliccatissimo in ogni angolo del mondo, con protagonisti dei bambini che a scuola hanno festeggiato in modo meraviglioso il successo dell’Uruguay nell’esordio di Russia 2018. Il ‘Maestro’ ha dato una risposta lunga e articolata in cui ha mostrato tutto il suo orgoglio per il grande supporto ricevuto da tutta la nazione:

Quando vedo bambini così piccoli guardare la nazionale in classe, quando penso che le scuole pubbliche ma anche università private, come la Cattolica, sospendono le lezioni quando gioca la nazionale ripenso a quello filo conduttore che si era spezzato e che oggi si è unito. E quando vedo i bambini esultare correndo fuori dalla classe verso il cortile per un gol allo scadere sono felice e penso che nessuno di noi lo dimenticherà mai e tutti lo racconteranno ai propri figli e magari ai nipoti. Penso che se riusciamo a vincere qualche altra partita, come ci è successo in SudAfrica, riceverò di nuovo lettere da signori di 80 anni che mi dicono di odiare il calcio e che dopo aver visto la nazionale hanno voglia di scendere in strada e abbracciare il primo sconosciuto. Il filo è stato riallacciato.

Infine il tecnico uruguaiano ha riannodato il filo parlando del passato, dell’identità nazionale che non tutti i paesi hanno, né in Europa né in SudAmerica e con enorme orgoglio ha parlato dell’affetto che tutto l’Uruguay sta dando alla ‘Celeste’ di Suarez e Cavani:

Sono pochi i Paesi che possono dire di avere il calcio come parte dell’identità nazionale. Argentina e Brasile in SudAmerica, Inghilterra e Germania in Europa. E ci siamo anche noi. La Spagna oggi ha una grande cultura calcistica ma l’ha acquisita di recente, quando noi vincevamo le Olimpiadi loro non c’erano. Sono contento perché l’Uruguay per questo Mondiale è tutto biancazzurro: palloncini, striscioni, bandiere, le strisce pedonali, questo ci fa sentire orgogliosi di questo sentimento che abbiamo verso il calcio nel nostro Paese.
“La vita è fatta di episodi, di strade che si incrociano”.

Mister, e il 4-4-2? “Sto leggendo: ‘Caporale Lituma sulle Ande’ di Mario Vargas Llosa. E’ un gran bel libro, ve lo consiglio. I miei autori preferiti sono Mario Benedetti ed Eduardo Galeano, due che hanno combattuto la dittatura militare nel nostro paese.”

Mister, non siamo un po’ scoperti sulla fascia sinistra? “Sono di sinistra, sto dalla parte di chi soffre e di chi non ha lavoro. In Uruguay ho votato per il Fronte Ampio, un partito progressista.”

Mister, meglio la difesa a zona o quella a uomo? “Non mi piacciono gli estremismi. Il filosofo sudamericano Carlos Vaz Ferreira dice che ogni estremismo porta l’idea a contraddirsi rispetto al pensiero originale. Se vogliamo spostare il discorso al calcio, è lo stesso concetto di zona o uomo. Chi difende con troppa foga una teoria e disprezza l’altra, rischia di contraddirsi.”

Mister, come spiega la sconfitta di domenica? “Un grande filosofo disse che chi cerca la vittoria senza mollare prima o poi la trova e se non la trova gli resta almeno la soddisfazione di averla cercata.”

Mister, i fischi della tribuna l’hanno ferita? “Il Sessantotto è stato un momento decisivo nella nostra storia, perché in ogni società c’è’ bisogno di spirito critico, altrimenti si crea una sclerotizzazione delle istituzioni e si rischia di arrivare alle dittature come fu quella militare del 1973 in Uruguay.”
Mister, considera un fallimento la sua esperienza italiana? “Le utopie sono necessarie. Un cantante del mio paese dice che i sogni servono perché ti danno ciò che la vita non ti offre. Un uomo cammina solo se ha ambizioni. In ‘Il libro degli abbracci’, Galeano racconta che c’è un uomo che parla con Utopia e questa, man mano che lui si avvicina, continua ad allontanarsi. Un terzo gli chiede: perché la insegui se non puoi raggiungerla? E lui risponde: perché solo così cammino.”

Oscar Washington Tabarez detto “El Maestro” per la laurea in Magistero conseguita a Montevideo, allenò in Italia Cagliari e Milan. Tabarez è un uomo colto e schierato, parla correntemente quattro lingue. Diede le dimissioni dopo una sconfitta del Milan a Piacenza il primo dicembre del 1996, quando la sua Utopia venne sconfitta dal pensiero debole del centravanti filosofo minimalista Pasquale Luiso detto “il Toro di Sora“, l’uomo che un giorno disse: “Crossatemi una lavatrice e colpirò di testa pure quella”.

Oscar Washington Tabarez.

NATO IL: 3 Marzo 1947, Montevideo (Uruguay).

RUOLO: Allenatore.

SOPRANNOME: El Maestro.

CARRIERA

1980-1983 Bella Vista.

1983 Uruguay U-20.

1984 Danubio.

1985-1986 Montevideo Wanderers.

1986-1987 Uruguay U-20.

1987 Peñarol.

1988 Deportivo Cali.

1988-1990 Uruguay.

1991-1993 Boca Juniors.

1993-1994 Peñarol.

1994-1995 Cagliari.

1996 Milan.

1997-1998 Real Oviedo.

1999 Cagliari.

2000-2001 Vélez Sarsfield.

2001-2002 Boca Juniors.

2006-2016 Uruguay.

PALMARES ALLENATORE

Peñarol.

1 Copa Libertadores: 1987.

Boca Juniors.

1 Campionato argentino: Apertura 1992.

1 Copa Master de Supercopa: 1992.

Uruguay U-20.

1 Giochi Panamericani: 1983.

Uruguay.

1 Copa America: Argentina 2011.

PALMARES INDIVIDUALE.

2 Allenatore sudamericano dell’anno: 2010, 2011.

1 Commissario tecnico dell’anno IFFHS: 2011

Fonte: Fan Page.

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