L’ex allenatore di Cagliari, Torino e Mantova è scomparso a 85 anni. Era un grande uomo di calcio dotato di tanto carisma e una sferzante ironia

 

“Ciao ora faccio il pensionato e il nonno”. Ma il saluto e la premessa per Gustavo Giagnoni erano solo un modo di rompere il ghiaccio per poi immergersi nel suo mondo, quello del calcio. Oggi Giagnoni non c’è più, è scomparso a 85 anni, e il mio pensiero vola a quella chiacchierata del 2007. Scambi di vedute e parole con accenti simili, un dialogo calcistico tra due sardi, innamorati della loro terra e del Cagliari. Per tutti Giagnoni era l’ “allenatore con il colbacco”, condottiero di un Torino che aveva sfiorato lo scudetto nella stagione 1971-72 negli anni del “tremendismo granata” (come ricorda oggi la società). Ma i miei ricordi erano altri, legati all’infanzia e alle figurine Panini dove gli allenatori non c’erano. Giagnoni per me era il tecnico del Cagliari 1982-1983, quello di Julio César Uribe e Waldemar Victorino, i due talenti arrivati dal Sudamerica per rendere nuovamente grande la squadra che era stata di Gigi Riva. I sogni di gloria si erano spenti e il Cagliari era retrocesso in Serie B.

L’ “assurda” retrocessione in B del Cagliari del 1983 

Una discesa nella serie cadetta che aveva gettato nello sconforto la città, ma per tutti le colpe non erano da attribuire a Giagnoni. “Ancora oggi la ritengo assurda. Con 26 punti la salvezza era sicura ma ci furono delle cose un po’ strane – mi raccontò -. All’ultima giornata incontrammo l’Ascoli e Carletto Mazzone mi disse: ‘O voi o noi’. Sapevamo entrambi che anche se il Pisa era impelagato nella lotta per la retrocessione non sarebbe mai andato giù. Il presidente mi esonerò anche se era finita la stagione, ma i tifosi rossoblù si schierarono con me, contestando lui”. Sarebbe tornato sulla panchina del Cagliari qualche anno dopo (stagione 1985-86) per sostituire Ulivieri e salvare la squadra dall’onta della retrocessione in serie C.

“A Torino vendevano ai tifosi colbacchi in plastica”

Amava il Cagliari, ma era soprattutto un “grande uomo di calcio” come lo ha definito la società rossoblù. Nel suo cuore c’era Mantova e il Mantova, che aveva allenato e dove aveva giocato negli anni Sessanta. E poi il Toro dei primi anni Settanta e il celebre “colbacco” in testa. “Lo conservo ancora nel mio armadio – mi confessò -. Il colbacco me lo ha regalato un negoziante di Mantova perché qui faceva freddo e quando andai a Torino il clima era molto simile. Il Torino tornò primo in classifica, non accadeva da Superga, e lottò per lo scudetto sino alla fine. La stampa si concentrò sul mio copricapo e divenne una moda, davanti alle tribune vendevano ai tifosi colbacchi in plastica”.

Il suo più grande rimpianto calcistico

Toro e Cagliari si mescolavano anche nel suo più grande rimpianto calcistico: un Cagliari-Juventus datato 8 maggio 1983 terminato con la vittoria bianconera in rimonta per 2-1. “Noi eravamo costretti a vincere per non retrocedere, chiamai Pileggi che aveva giocato per anni nel Torino e gli dissi: ‘vecchio cuore granata, stai calmo e non fare scherzi’. In campo fu provocato da Furino e reagì con un pugno. Fu espulso e noi, che vincevamo per 1-0, perdemmo una gara che risultò poi determinante per la retrocessione”. Sono passati più di dieci anni da quel dialogo  che si concluse con una sua risata e una promessa: “Vengo a Cagliari e riprendiamo il discorso”. Non hai mantenuto la parola, ma un tifoso rossoblù può e deve perdonarti tutto. Addio Mister.  

Fonte: Andrea Curreli della Redazione Tiscali.it

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