Questa storia va raccontata partendo da lontano. Partendo da uno sguardo sull’Europa in subbuglio dopo la Prima Guerra Mondiale, stringendo l’obiettivo su quello che fu l’Impero Austroungarico e ciò che nacque dalla sua dissoluzione: tre nazioni, decine di popoli, lingue, vite. E un movimento calcistico fiorente, che tra Austria, Ungheria e Cecoslovacchia portò alla prima rivoluzione tattica del gioco del calcio, raccogliendo tuttavia pochi risultati dal mero punto di vista numerico dei palmarés. Nacque il “Metodo” e, complice l’esilio volontario del calcio inglese dalle federazioni internazionali, il calcio danubiano fu il portabandiera del movimento europeo tra gli anni ‘20 e ‘30. Il Wunderteam, la nazionale austriaca guidata dal 1919 da Hugo Meisl fu la squadra simbolo di quel calcio, e il suo capitano, Matthias Sindelar, l’uomo di cui andremo ad affrontare la storia gloriosa e tragica.
Nato a Kozlau (ora Kozlov in Repubblica Ceca) il 10 febbraio 1903 da una famiglia operaia cattolica che nel 1906 deciderà di trasferirsi a Vienna. Proprio nella capitale austriaca, il giovane Matthias verrà a contatto col fussball, facendo emergere le sue capacità come centravanti talentuoso, portato tanto per il gol quanto per l’impostazione della manovra. Nel 1918, tra le rovine dell’Impero e le difficoltà della nascente repubblica, il primo club che scommetterà sulla classe del 15enne sarà l’Hertha ASV Vienna: il debutto nella massima serie arriva nel 1921 a 18 anni, il talento è purissimo e nel 1924 l’Hertha dovrà venderlo all’ambizioso Austria Vienna per sistemare il suo bilancio dissestato. I Veilchen hanno appena vinto il loro primo titolo e si apprestano ad inaugurare un ciclo vincente, Sindelar diventa l’idolo dei tifosi: in maglia viola si porterà a casa un campionato, cinque coppe d’Austria e soprattutto due Mitropa Cup. La finale di ritorno del 1933, al Praterstadion, merita di essere citata soprattutto perché lo vede protagonista, con una tripletta ai danni dell’Ambrosiana Inter del rivale (e omologo, per interpretazione del ruolo) Giuseppe Meazza, leggenda del calcio italiano.
Der Papierene (Cartavelina) viene conosciuto anche al di fuori dei suoi confini grazie alle imprese della sua Nazionale, che nel 1932 vince la Coppa Internazionale (torneo a girone unico tra le nazionali dell’Europa centrale, che oggi viene considerato come l’antesignano dei Campionati Europei) proprio davanti agli azzurri guidati da Vittorio Pozzo. Sempre nel 1932 la sua Nazionale perderà 4-3 l’amichevole londinese contro i maestri inglesi, a cui Sindelar segnerà un gol guadagnandosi una lauta offerta dell’Arsenal rifiutata per amore dei colori viola viennesi. Il vero rivale del Wunderteam, però, è sempre la nazionale italiana a cui dovrà lasciare l’alloro mondiale del 1934 dopo una durissima semifinale milanese, in cui Sindelar sarà vittima delle “cure” del durissimo centromediano italo-argentino Luis Monti, persa a causa di un gol dell’ala romanista Enrique Guaita che sembrava tanto una carica sul portiere.
Ma negli anni ‘30, la storia d’Europa correva più veloce della vita delle persone, e correva su strade tragiche. La Germania di Adolf Hitler aveva nei suoi progetti l’annessione dell’Austria: il 25 luglio del 1934 il putsch nazista del Partito Nazista Austriaco fallisce per un pelo, minando definitivamente la sovranità di un paese già spezzato da aspre divisioni sociali. Dopo la morte violenta del cancelliere austrofascista Engelbert Dollfuss, i quattro anni di governo del suo vice Kurt Alois von Schuschnigg accompagnano un paese sempre più solo anche sulla scena internazionale verso l’ineluttabile Anschluss del 1938. L’ultima gara disputata in Nazionale da Sindelar, fu la “Partita della riunificazione” (Anschlussspiel) organizzata al Prater di Vienna il 3 aprile del 1938 tra l’ex nazionale austriaca (denominata ormai Ostmark) e la Germania. Sindelar segnò l’1-0 al settantesimo, e il suo compagno e amico Karl Sesta fissò il risultato sul 2-0 nel finale.
A fine partita i due si rifiutarono di salutare a braccio teso i gerarchi nazisti presenti allo stadio, così come non presero parte al Mondiale 1938 con la maglia della Germania. Chiuse la sua carriera internazionale con 43 partite e 26 reti. Ma nell’atmosfera plumbea della Germania hitleriana, l’ex eroe della nazionale austriaca era una figura ancora troppo popolare e pericolosa, a maggior ragione dopo i fatti dell’Anschlussspiel. Sospettato di avere ascendenze ebraiche, e sposato con un’italiana ebraica conosciuta proprio durante i mondiali italiani, Sindelar finì sotto gli occhi della Gestapo. Fu trovato morto nel suo appartamento il 23 gennaio 1939, assieme alla moglie: l’autopsia attribuì la morte ad una fuga di gas, ma per anni sulla sua tragica fine si sono rincorse diverse tesi, dall’omicidio politico al suicidio per sfuggire alle persecuzioni naziste.
E così mentre l’Europa si avviava verso un’altra guerra devastante, il sogno elegante del calcio danubiano moriva assieme al più talentuoso dei suoi campioni.