Un tempo c’erano gli osservatori, oggi sono i procuratori a battere i campi di periferia. Non solo a caccia di promesse…

Pubblichiamo un articolo-inchiesta di Gianni Poggi di VVOX.IT scritto di recente sulla tematica del calcio giovanile, riguardante la categoria dei talent scout e procuratori con tutto il loro indotto.

Una doverosa finestra su questo argomento che a volte nasconde pagine come limpide.

Genitori che pagano allenatori e dirigenti per far giocare i figli, procuratori-faccendieri che si fanno pagare per portare i giovani calciatori da una società all’altra, padri e madri che pretendono di interferire nelle scelte tecniche perché pagano la retta al club. I Settori Giovanili del calcio italiano sono sempre più spesso strumenti di business privato, di corruzione, di intrallazzo. Non si insegna più la tecnica, non si fanno emergere i talenti, in campo ci va chi ha un padre o una madre che mette i soldi.

Questo sistema perverso trova paradossalmente la sua matrice proprio nella normativa della Federcalcio. La gestione dell’attività dei giovani calciatori è delegata al Settore Giovanile e Scolastico, sede a Roma in via Po, presidente Vito Tisci già a capo del Comitato Regionale della Puglia. Il SGS «disciplina ed organizza, con finalità tecniche, didattiche e sociali, l’attività dei giovani calciatori in età compresa tra i cinque e i sedici anni». Attraverso l’inquadramento in una serie di categorie legate all’età e la conseguente partecipazione ai corrispondenti campionati, in pratica il Settore incamera i giovani già dall’età prescolare e li gestisce fino alla soglia del primo tesseramento professionistico.

Proprio qui nasce il problema. Che si chiama «vincolo sportivo». I ragazzi sono infatti vincolati alla propria squadra, di stagione in stagione, fino a 14 anni. A questo punto il discorso cambia in relazione alla categoria della società di appartenenza: i giovani tesserati per squadre della Lega Dilettanti diventano «Giovani dilettanti» e sono soggetti a vincolo fino al compimento del 25° anno di età. I tesserati invece di società professionistiche diventano «Giovani di serie» e il loro vincolo va solo fino ai 18 anni. Mentre quindi per questi ultimi il limite del vincolo è la maggiore età, per i «Giovani dilettanti» è praticamente impossibile o quasi cambiare squadra.

Si arriva addirittura al punto che, come rivela Repubblica.it in un’inchiesta («Prigionieri del calcio» di Linda Borgioni e Alessandro Cecioni), «il ragazzo potrà chiedere di cambiare squadra solo se il trasferimento è in un’altra regione e, addirittura, in una provincia che non sia contigua a quella di partenza. Non solo: bisogna che si trasferisca l’intero nucleo familiare». È scontato quindi che l’obbiettivo di una famiglia che punti a assicurare un futuro al proprio figlio con il calcio, non possa essere che quello di ottenere per il pargolo un tesseramento con una società professionistica. A qualsiasi costo, e cioè pagando.

Nel calcio del passato c’erano gli «osservatori» che giravano per i campetti di periferia e di provincia a caccia di giovani promesse e segnalavano le loro scoperte ai club, spesso solo per la gloria o al massimo per un rimborso spese. Oggi, al loro posto, ci sono talent scout e soprattutto procuratori che promettono a genitori sprovveduti o illusi un tesseramento per il loro presunto campioncino in una società professionistica. A pagamento, beninteso. Migliaia di euro è la tariffa, oltre alla firma di un contratto di consulenza. Non conta che il ragazzino abbia davvero qualità e talento. Perché il procuratore è interfacciato con l’allenatore o il dirigente di questa e quella società e così il cerchio si chiude: il giovane calciatore ha un posto assicurato in squadra e gioca. A 18 anni però il sogno finisce e, salvo che non sia davvero bravo, il primo contratto professionistico non lo avrà mai. Molto spesso la carriera finisce qui.

Ma il business non è solo questo. Per svincolarsi, i giovani calciatori hanno solo due strade: lo «svincolo per accordo» (art. 108 delle N.O.I.F., le norme organizzative federali) e cioè la rescissione consensuale del contratto, oppure il pagamento del «premio di preparazione». L’art. 96 spiega che «le società che richiedono per la prima volta il tesseramento … di calciatori che nella precedente stagione sportiva siano stati tesserati come “giovani”, con vincolo annuale, sono tenute a versare alla, o alle società per le quali il calciatore è stato precedentemente tesserato un premio di preparazione…».

Dove sta l’affare? Semplice: la società di provenienza si rifiuta di rescindere consensualmente il contratto oppure quella di destinazione di pagare il premio. Trasferimento stoppato. A meno che i genitori non paghino una bella somma (anche in questo caso migliaia di euro) alle società per rinunciare ai rispettivi rifiuti. Soldi nella maggior parte dei casi sprecati perché, stando alle statistiche, la percentuale dei giovani dei vivai che arrivano alla prima squadra è bassissima.

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