La magnifica ossessione. Così è stata definita, dal DT Antonio La Torre, già diversi anni fa, la corsa verso i Giochi di Gianmarco Tamberi. Dalla chance mancata di Rio de Janeiro, sono passati cinque anni. Iniziati su un letto d’ospedale, dopo l’infortunio patito nell’ormai celebre meeting di Montecarlo 2016, quando Gimbo, allora dominatore della specialità, si infortunò dopo aver stabilito il record italiano (2,39), a poche settimane dai Giochi. E ora, dopo 60 mesi d’attesa, il capitano azzurro è finalmente alla vigilia.

“E’ l’appuntamento più importante della mia vita, e non vedo l’ora di affrontare la gara. Scalpito, letteralmente”. È fatto così, Gianmarco, uomo che non ama le mezze misure, o i toni di grigio: luce o ombra, bianco o nero. È arrivata l’ora della verità, e non la teme. “Ho fatto tutto quel che dovevo. Se mi volto indietro, vedo tutte le mie scelte, e non le cambierei. Ho messo l’atletica davanti a tutto, con l’obiettivo di tornare al top, arrivare a giocarmi qualcosa di grande con i migliori saltatori del mondo. Credo di esserci riuscito, e per questo, sono sereno, guardo al mio percorso con il sorriso”.

Rio de Janeiro e Tokyo, ciò che non ha potuto essere, ciò che sarà. Quali le differenze?
“In realtà non moltissime. Sì, certo, probabilmente oggi ho meno sicurezze di allora. Ma ho le stesse ambizioni, gli stessi sogni. Agli avversari di ieri se ne sono aggiunti altri, e la gara dell’alto, infatti, credo sia una delle più equilibrate. Quasi tutti gli iscritti hanno delle possibilità di entrare in finale: del resto, con l’accesso fissato a 2,33, non poteva essere altrimenti”.

La qualificazione (venerdì alle 2:15 italiane, le 9:15 di Tokyo) si svolgerà al mattino presto. Può rappresentare un problema?
“Da due anni lavoro su questo, come già detto altre volte sono stato seguito anche da uno specialista del sonno, non credo che l’orario rappresenti più un problema. La qualificazione sarà una gara vera e propria, seguita poi dalla finale. Il livello è altissimo, ci sono almeno cinque atleti in prima fila: i russi Ivanyuk e Akimenko, il bielorusso Nedasekau, il qatarino Barshim e lo statunitense Harrison. Io? Beh, sì, credo di essere nel gruppo, me lo merito. E credo che se si facesse la stessa domanda a loro, mi metterebbero nel gruppo”.

Come è stato questo 2021 di Tamberi?
“Direi sostanzialmente buono nella prima parte, altalenante nella seconda. Ma non ho mai pensato che fosse importante essere in forma in inverno. Quello che contava, era arrivare qui nella condizione giusta, al meglio delle proprie possibilità. Credo di esserci riuscito”.

Dal capitano, ci si aspettano anche delle valutazioni sulla squadra. Com’è questa nazionale?
“Vedo un’atletica italiana che in questi anni è cresciuta moltissimo, risultati che fanno davvero ben sperare. Non voglio parlare in questa circostanza delle punte, di loro si sa già tutto, ma in questo gruppo, per esempio, vedo ragazzi come Sibilio, Dallavalle, di grande avvenire. La numerosità è segnale di salute dell’atletica. Certo, in questa fase ci manca una superpunta a livello mondiale, uno di quegli atleti che devono vincere una medaglia, come accade per esempio nella scherma o in altri sport”.

A proposito di altri sport, le attenzioni maggiori verso chi sono andate?
“Ho seguito con particolare attenzione nuoto e scherma: essendo arrivato a Tokorozawa molto presto (scelta che rifarei sempre, ho trovato condizioni eccellenti), ho condiviso anche la vigilia di molti degli azzurri di queste discipline. Vederli poi soffrire, gioire, alla TV, mi ha dato un’emozione grandissima. Adesso devo staccare, concentrarmi su me stesso, perché non riesco ad essere distaccato, quelle emozioni lasciano traccia dentro di me. Ora comincia la mia Olimpiade”.

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