Aveva studiato il giapponese (“una paginetta al giorno”), lui che della cultura orientale è un vero appassionato. Lo approfondiva da anni, per interesse personale e per scoprire i segreti degli avversari più forti, traducendo i suggerimenti che durante la corsa avrebbero dato i loro allenatori. È servito. Eccome. Massimo Stano ha battuto due giapponesi in casa loro nella 20 km di marcia. “Era importante vincere in Giappone, è la mia seconda casa. Adoro gli anime, i manga. Durante la gara a Yamanishi ho detto ‘andiamo’ in giapponese. È rimasto un po’ stranito…”. Italia con tre medaglie d’oro nell’atletica. Da non crederci. “Me lo sentivo quest’oro. Le medaglie di Jacobs e Tamberi mi hanno dato motivazioni in più, il ringraziamento va anche a loro”.
“È stata una gara veramente dura – racconta Stano, in estasi dopo la cerimonia di Sapporo, anteprima della consegna ufficiale della medaglia che avverrà domani a Tokyo (ore 12.50 italiane) – Caldo, umido, come piace a me. Ho sperato che piovesse e ci fosse ancora più umidità perché so che in queste condizioni soffro meno degli altri. Non ho mai avuto ottime sensazioni in gara, anche se può sembrare strano. Negli ultimi due mesi per darmi coraggio mi ripetevo ‘sono il più forte, sono il più forte del mondo’, e anche in gara ho lavorato molto mentalmente. Mi ripetevo in testa di essere il migliore. Un mese e mezzo fa ho avuto un’infiammazione al bicipite, quindi abbiamo dovuto frenare un po’ con gli allenamenti. Per compensare quello che non ho guadagnato con il lavoro, ho dovuto lavorare a livello mentale. Questa strategia mi ha dato fiducia”.
“Ovviamente la vittoria è dedicata a mia figlia Sophie (nata a febbraio, ndr) e mia moglie Fatima che mi sopportano e supportano – prosegue il campione olimpico – Volevo un figlio, ma avevo paura, preferivo aspettare le Olimpiadi. Però oggi posso dire che è stata una forza in più, mi ha dato una spinta, durante tutta la gara ho pensato a lei. Il mio grazie, poi, va al migliore allenatore del mondo, Patrizio “Patrick” Parcesepe, perché non si può fare un risultato da soli, ma serve intorno un grande staff. Al fisioterapista Cristian Bruno. A tutti quelli che mi hanno aiutato nel cammino verso le Olimpiadi. Sono veramente contento e incredulo, spero non sia soltanto un sogno. Oggi, prima della gara, al mio team manager delle Fiamme Oro Sergio Baldo ho detto… non c’è due senza tre! Glielo avevo promesso. Ringrazio anche le Fiamme Gialle che mi ospitano, io sono un ibrido, squadre diverse ma funzioniamo insieme, con la maglia Italia”.
I temi sono tanti, le domande in collegamento da Casa Italia, filo diretto tra Sapporo e Tokyo spaziano su ogni aspetto sportivo e personale. Sulla tecnica di marcia: “Oggi ho preso soltanto un rosso nel penultimo chilometro, a Doha invece ero finito in penalty zone perché marciavo male. Senza quella disavventura probabilmente non mi sarei concentrato sulla tecnica, nei mesi successivi. Una delusione che mi ha insegnato tanto”. Sulla scelta di diventare musulmano: “È per amore, non ci vedo nulla di scandaloso”. Sulla presenza o meno di un mental coach: “Non ce l’ho, lavoro su me stesso leggendo tanti libri”. E poi su Alex Schwazer: “Preferisco non commentare la sua vicenda. Oggi ci si concentri su di me”. Poi la considerazione finale, del campione olimpico, con l’animo di chi ha centrato un’impresa memorabile ma non si accontenta: “Devo realizzare. Spero di metterci poco a farlo. Per guardare ancora più avanti”.