L’esordio già alla fine di aprile, in Botswana, a un paio d’ore d’aereo da Stellenbosch, Sudafrica, dove si stanno preparando per una stagione ricca d’impegni. Il campione d’Europa indoor del peso Zane Weir e l’altro pesista azzurro Leonardo Fabbri hanno fissato la propria data di debutto per la stagione primaverile: sarà sabato 29 aprile a Gaborone, la capitale del Botswana, sede della tappa Gold del World Athletics Continental Tour, con diretta televisiva sui canali Sky Sport. Al duo azzurro al lavoro nel continente africano si aggiungerà anche Nick Ponzio in arrivo dagli Stati Uniti per completare il terzetto di pesisti italiani che coltiva lecite ambizioni nella stagione dei Mondiali di Budapest. L’annuncio è arrivato nel pomeriggio di ieri dagli organizzatori del Botswana Golden Grand Prix: nel cast anche il finalista olimpico Kyle Blignaut (Sudafrica), sesto a Tokyo, il norvegese Marcus Thomsen che si sta allenando insieme agli azzurri in Sudafrica e un altro atleta da 21 metri come il britannico Scott Lincoln.

Il primo test, una gara-allenamento in un contesto di buon livello internazionale senza la ricerca della misura a tutti i costi, arriva al termine di tre settimane di carico importante, in attesa che dalla fine di maggio cominci la ‘vera’ stagione agonistica. Weir (Fiamme Gialle) è pronto a spaccare il mondo dopo il fantastico 22,06 con cui ha meritato il titolo europeo a Istanbul, secondo italiano di sempre oltre la barriera dopo il campione olimpico e già primatista mondiale Alessandro Andrei (22,91). Per Fabbri (Aeronautica) la stagione all’aperto è il momento della rivincita dopo la finale dell’Atakoy Arena che ha lasciato amarezza con quei sei nulli dopo un solidissimo percorso di avvicinamento (21,60 agli Assoluti indoor). E per Ponzio (Athletic Club 96 Alperia) l’obiettivo è ritrovare la brillantezza di alcune fasi dello scorso anno. Dopo la gara, il 1° maggio, per Weir e Fabbri è previsto il ritorno in Italia e almeno tre gare in tre settimane, senza finalizzarle in maniera specifica ma sostituendole agli allenamenti ad alta intensità.

70 ANNI DI SARA SIMEONI, IL MONDO VISTO DALL’ALTO 
Cosa sarebbe la storia dell’atletica senza Pietro Mennea e Sara Simeoni? Abbiamo appena finito di celebrare i 10 anni dalla morte del velocista pugliese (classe 1952) ed ecco che, girando le pagine del calendario, ci troviamo a festeggiare i 70 anni che la saltatrice veneta (classe 1953) compirà mercoledì. Le spirali del destino ce li ha messi di fronte quasi in parallelo: dall’esordio agli Europei juniores del 1970 a Parigi, dove furono entrambi quinti, all’oro olimpico di Mosca passando ambedue per il record mondiale, che Sara è riuscita addirittura a doppiare nello stesso mese di agosto 1978 prima a Brescia e poi a Praga con 2,01. Sara al culmine di un percorso più lineare si ritirò nel 1986 a 33 anni, Pietro fra tormentati ritiri e ritorni di fiamma arrivò fino al 1988 a 36 anni con tanti incroci comuni, anche nel campo di atletica di Formia.

Ma se vogliamo, proprio il fatto di essere donna ha dato a Sara una caratteristica in più, quella di rivoluzionaria dello sport: un “titolo” onorifico che lo storico di sport Sergio Giuntini le riserva insieme ad altre due rappresentanti dell’atletica (Lydia Bongiovanni e Paola Pigni), una nuotatrice (Novella Calligaris), una ciclista (Alfonsina Strada) e una cestista (Mabel Bocchi) per l’impatto che queste sportive hanno avuto nell’evoluzione del costume attraverso lo sport. Per capire il peso dell’oro olimpico di Sara Simeoni basti pensare però che sono solo quattro le olimpioniche azzurre dell’atletica: prima di lei Ondina Valla a Berlino ’36 (negli 80hs). Dopo di lei Gabriella Dorio a Los Angeles ’84 nei 1500 e Antonella Palmisano nei 20 km di marcia a Tokyo 2021. Sara è stata dunque una “rivoluzionaria” di successo senza divergere mai dalla sua dimensione di atleta non allineata. 

Quasi isolata nella sua dimensione tecnica e familiare insieme al marito-allenatore Erminio Azzaro, Sara ha rappresentato la sintesi ideale della donna-atleta. Anche perché parliamo dell’azzurra più titolata della storia dell’atletica: oltre all’oro di Mosca e ai due record mondiali spiccano anche altri due argenti olimpici (quello quasi amaro di Montreal ’76 e quello miracoloso di Los Angeles ’84) in una carriera durata 22 anni, quasi tutti al vertice della sua specialità, a partire dal record italiano ragazze stabilito con 1,35 il 3 maggio 1966. Curiosamente, al suo eccellente curriculum, proprio come a Jacobs e Tamberi, manca solo il titolo mondiale anche se bisogna considerare che nella sua parabola temporale ebbe a disposizione solo la prima edizione iridata di Helsinki ’83 dove si presentò in precarie condizioni di forma e fu eliminata in qualificazione.

MARATONA DI BOSTON: TRIONFANO CHEBET E OBIRI, KIPCHOGE SESTO
Evans Chebet, non Eliud Kipchoge, è la notizia. Il primatista del mondo e pluricampione olimpico di maratona fallisce la vittoria a Boston e vede allontanarsi il progetto di vincere tutte le majors, considerando anche l’altro tassello mancante di New York. Una gara iniziata su ritmi elevati (14:17 al quinto chilometro), poi scesa di frequenze e con il disturbo di una leggera pioggia (1h02:19 a metà corsa), che ha visto l’atto decisivo dopo il 30° chilometro, con Kipchoge incapace di reagire allo strattone impresso dal tanzaniano Geay. Un ritardo via via cresciuto fino a oltre due minuti, per un sesto posto finale di Kipchoge in 2h09:23, con la 18esima maratona della carriera portata fino in fondo, e la terza sconfitta, per un curriculum senza eguali. Nell’ultimo tratto di gara il podio è fatto con Chebet, Geay e l’altro keniano Benson Kipruto a giocarsi il successo. Vince il 34enne Chebet in 2h05:54, al secondo successo di fila a Boston e al terzo consecutivo in una major statunitense, contando anche il trionfo a New York nello scorso novembre. Secondo il tanzaniano Gabriel Geay, quarto nella scorsa edizione, in 2h06:04, terzo Benson Kipruto, vincitore due anni fa e terzo nel 2022, in 2h06:06.

OBIRI DA ESORDIENTE – La keniana plurimedagliata in pista Hellen Obiri ha vinto da esordiente a Boston, come Kipchoge, ma alla seconda esperienza di maratona dopo il debutto di New York in autunno, sesta in 2h25:49. Il successo è arrivato con un crono ragguardevole, 2h21:38 (decima prestazione all-time a Boston), considerando i dieci gradi di temperatura e il 93% di umidità della giornata. Gara guidata a lungo da un folto gruppo di africane con la statunitense Emma Bates front-runner per lunghi tratti. Dopo un passaggio alla mezza in 1h11:29 e frequenze invariate, la corsa si è decisa negli ultimi tre chilometri, con la Obiri a prendere la scena e chiudere con 12 secondi di vantaggio sull’etiope Amane Beriso (2h21:50), e poco meno di 20 secondi sull’israeliana Lonah Salpeter (2h21:57). Quarta l’altra etiope Ababel Yeshaneh (caduta al 40esimo chilometro e subito rientrata nel gruppo) in 2h22:01, quinta la prima statunitense Emma Bates in 2h22:10.

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