Quando si dà vita a una società/associazione sportiva dilettantistica, la volontà di individuare una denominazione che abbia appeal tra i tifosi o che richiami particolari tradizioni si scontra, talvolta, con le norme, statuali ed endofederali

Uno dei primi adempimenti, allorquando si costituisce una società/associazione sportiva dilettantistica, è rappresentato dalla scelta del nome (più correttamente della “denominazione sociale”), che va necessariamente individuato nello Statuto. La volontà di individuare una denominazione che abbia appeal tra i tifosi o che richiami particolari tradizioni si scontra, però, talvolta, con le norme, statuali ed endofederali, che impongono determinati limiti alla libertà di scelta.

L’ART. 17 DELLE NOIF IL CRITERIO DELLA DIVERSIFICAZIONE

Il primo comma dell’art. 17 NOIF, che potrebbe apparire di modesto significato applicativo, in realtà costituisce il riferimento principale, in ambito endofederale, per la corretta individuazione della denominazione: “La denominazione sociale risultante dall’atto di affiliazione è tutelata dalla Figc secondo i principi della priorità e dell’ordinato andamento delle attività sportive”. Partendo da tale principio di portata generale, la Figc ha, poi, elaborato, prassi e linee guida ben precise che devono essere conosciute dagli addetti ai lavori onde non incorrere in rilievi da parte degli organi amministrativi federali.
In particolare, per la Figc, la denominazione deve contenere un massimo di 25 lettere compresi gli interspazi tra parola e parola e la sigla corrispondente alla natura giuridica del sodalizio (ASD, SSD a RL etc) e non può presentare tratti di identità con altre già utilizzate da società affiliate. A tale scopo, non soddisfano il criterio della diversificazione l’inserimento dell’aggettivo nuova/rinascita o solo l’anno di fondazione, né i prefissi giovane/giovanile/boys.
La valutazione circa il rispetto di tali parametri spetta alla Figc, dopo aver acquisito il parere, non vincolante, del Comitato/Divisione/Dipartimento competente, chiamato a verificare l’esistenza, in particolare nella medesima area territoriale del club neoaffiliato, di altre società che presentino una denominazione analoga o estremamente simile, onde evitare di ingenerare confusione negli operatori del settore.

LA VARIAZIONE

La denominazione, tuttavia, non è “per sempre”: il comma 2 dell’art. 17 delle NOIF consente alle società di modificare il proprio nome, stabilendo, tuttavia, termini e procedure ben definite. La predetta disposizione stabilisce, infatti, che “il mutamento di denominazione sociale delle società può essere autorizzato, sentito il parere della Lega competente o del Settore per l’Attività Giovanile e Scolastica, dal Presidente della Figc su istanza da inoltrare improrogabilmente entro il 15 luglio di ciascun anno; per le società associate alla Lega Nazionale Dilettanti tale termine è anticipato al 5 luglio. All’istanza vanno allegati in copia autentica, il verbale dell’Assemblea che ha deliberato il mutamento di denominazione, l’atto costitutivo, lo Statuto sociale e l’elenco nominativo dei componenti l’organo o gli organi direttivi. Non è ammessa l’integrale sostituzione della denominazione sociale con altra avente esclusivo carattere propagandistico o pubblicitario”.
Pertanto, le società / associazioni interessate al cambio di denominazione debbono presentare alla Figc, entro il 5 luglio di ciascuna stagione sportiva (ma le articolazioni territoriali sono solite stabilire un termine anticipato per svolgere preventive verifiche della correttezza della documentazione e richiedere eventuali integrazioni nel termine regolamentare), la relativa istanza, accludendo il verbale dell’assemblea che ha deliberato la variazione (trattandosi di decisione cui consegue la modifica dello Statuto, è sempre necessario il consenso dell’organo plenario), nonché l’atto costitutivo, il nuovo testo statutario e l’elenco dei soci.
Doveroso precisare che, anche in caso di trasformazione da Associazione Sportiva Dilettantistica a Società Sportiva Dilettantistica, si determina la modifica della denominazione e dello Statuto, ragione per cui è necessario espletare la procedura prevista dall’art. 17, comma 2, NOIF anche ove il tratto caratterizzante del nome del club rimanga identico (es. variazione da ASD Alfa a SSD Alfa a r.l.).
Da considerare, poi, la preclusione verso pratiche finalizzate all’adozione di una denominazione a carattere propagandistico e pubblicitario, anche se si rilevano, soprattutto in ambito dilettantistico, diversi casi in cui, al nome identificativo della realtà territoriale, è stato associato il riferimento a partner commerciali, pratica, dunque, quest’ultima, che deve ritenersi consentita.

L’ISCRIZIONE AL REGISTRO CONI

Non si dimentichi, poi, che, ai fini dell’iscrizione al Registro delle Associazioni e Società sportive dilettantistiche tenuto dal CONI, che rappresenta “lo strumento che il Consiglio Nazionale del CONI ha istituito per confermare definitivamente ‘il riconoscimento ai fini sportivi’ alle associazioni/società sportive dilettantistiche, già affiliate alle Federazioni Sportive Nazionali, alle Discipline Sportive Associate e agli Enti di Promozione Sportiva”, è necessario, ai sensi dell’art. 90, comma 17, della Legge n. 289/2002, che sia espressamente menzionata nella denominazione del club la “ragione o la denominazione sociale dilettantistica”.


ATTENZIONE ALLE PRATICHE “DI FATTO”

Non sono infrequenti, tuttavia, le fattispecie in cui nuove società, per identificarsi con una determinata tifoseria e/o assurgere a club rappresentativi di un determinato territorio, adottino, formalmente o anche soltanto di fatto (comunicando alla Figc una denominazione in concreto non utilizzata se non in ambito federale, con adozione di altro e diverso nome in tutti i rapporti quotidiani), una denominazione già utilizzata da altro sodalizio, attivo o meno: tali condotte comportano rilevanti rischi sotto il profilo disciplinare e civilistico, come meglio vedremo infra.
Molto interessante, in proposito, il procedimento disciplinare celebratosi a carico del Sig. E.B. e della società F.C. S., definitosi con C.U. n. 27/CDN del 27 ottobre 2008, a seguito di deferimento per la “violazione di cui all’art. 1, comma 1, CGS anche con riferimento agli artt. 17, 18, 19 e 52 delle NOIF”, in quanto il dirigente deferito “aveva ingenerato la falsa rappresentazione che la società F.C. S. avesse mutato la sua denominazione in N., creando confusione e sovrapposizione con la già esistente società di Napoli denominata C. S.e S.i N.”.

La Commissione Disciplinare Nazionale irrogò nei confronti del dirigente la sanzione dell’inibizione per due mesi e, a carico del club, dell’ammenda di € 5.000,00, ritenendo accertato che “l’odierno incolpato, nell’ambito di un progetto non regolamentare e volto alla variazione della denominazione sociale della società da lui presieduta e al trasferimento di fatto del medesimo titolo sportivo e del campo di gioco, aveva ingenerato presso tutta l’opinione pubblica – con quel che ne consegue in termini di maggior eco del fatto – la falsa rappresentazione che la società FC S. avesse mutato la sua denominazione in ‘N.’, utilizzando egli stesso tale denominazione ovvero permettendo e non impedendo – mediante comportamenti positivi, quali ad esempio comunicati ufficiali della società da lui presieduta ovvero smentite giornalistiche successive alla pubblicazione degli articoli giornalistici in cui la medesima società S. veniva chiamata N. – che altri soggetti utilizzassero tale denominazione per indicare la società da lui presieduta. Orbene, così facendo, l’odierno incolpato, oltre a creare confusione e sovrapposizione con la già esistente società di Napoli denominata ‘C.S. e S. N.’, ha di fatto creato le condizioni affinché per quest’ultima società fosse più difficile utilizzare legittimamente e liberamente il proprio titolo sportivo”.
Pertanto, nel caso appena menzionato, non era stata formalizzata presso la Figc la variazione ufficiale della denominazione, bensì erano state attuate pratiche – nella gestione quotidiana del club – volte a ingenerare nell’opinione pubblica il convincimento che quel determinato club avesse, in realtà, un diverso nome (che non avrebbe potuto essere approvato alla Figc in quanto già adottato da altra affiliata).
Al contrario, si rinviene una pronuncia di una Corte territoriale (Commissione Disciplinare territoriale presso Figc – Comitato Regionale Lombardia), adottata con C.U. n. 36 del 26 gennaio 2012, con cui si è affermato, prosciogliendo alcuni dirigenti deferiti per “avere utilizzato una denominazione sociale A.S.D. ‘J’ C. 1913 molto simile a quella A.C. CSC J.C. ora ASD C. determinando così confusione e sviamento dei potenziali tesserati nei confronti di quest’ultima e a favore della prima”, che “dalla documentazione in atti e dalle dichiarazioni assunte nel corso delle indagini preliminari non emerge nel modo più assoluto che i rappresentanti della ASD ‘J’ C. 1913 abbiano compiuto atti diretti in modo non equivoco a sviare i calciatori della A.C. CSC J. C. per tesserarli con la propria società. La mancanza di qualsivoglia comportamento in tal senso giustifica l’assoluzione dei deferiti. Si osserva peraltro che non può integrare la fattispecie di comportamento scorretto sanzionato dall’Art. 1 CGS il solo fatto di aver registrato una società con una denominazione similare con quella di un’altra, ma in ogni caso diversa”.
Appare evidente che, in tal caso, l’approvazione della Figc alla richiesta di modifica della denominazione sociale, unitamente all’assenza di prove relativamente a condotte volte a confondere l’identità dei due differenti club, sono risultati argomenti decisivi ai fini del proscioglimento degli incolpati.
Infine, meritevole di menzione appare una decisione della Commissione Disciplinare Nazionale che, con C.U. n. 21/CDN del 24 settembre 2009, sanzionava alcuni dirigenti deferiti per “indebito utilizzo, da parte del Sig. S., dei loghi – marchi di proprietà della USD S. C., Società inattiva, idonei a ingenerare confusione nei terzi e a creare nocumento alla consorella USD S.1904, che, di fatto, e a seguito di accordi con il Presidente della USD S. C., aveva precedentemente acquisito l’utilizzo di detti segni distintivi”.
Il giudice nazionale ha accertato la responsabilità degli incolpati precisando come dovessero ritenersi elementi indicativi della contestata illiceità sia la scelta di una denominazione idonea a ingenerare confusione nei terzi, attesa la somiglianza con quella inattiva, sia la scelta di un formato grafico pressoché identico. Quindi, a prescindere dall’esistenza o meno di una normativa speciale in ambito federale, decisivo è stato il fatto che il deferito non avesse ricevuto alcuna autorizzazione per l’utilizzo di detti marchi, usando cose delle quali non aveva la libera disponibilità perché di altri, approfittando della dichiarazione di inattività della titolare dei loghi e, infine, associandoli ad una denominazione che la Federazione non aveva autorizzato. Chiave di lettura dell’intera vicenda è costituita dalla valutazione parallela di comportamenti non ispirati all’etica sportiva e comunque contrari a norme ed autorizzazioni federali. Secondo la C.D.N. non può essere consentito che il principio di lealtà, correttezza e probità venga svilito da una eccezione puramente formale in ordine a una apparente lacuna normativa che, invero, non c’è, proprio in virtù del principio cardine del CGS.

Pertanto, non soltanto la cd. “usurpazione del nome”, tutelata dalla norma specifica di cui all’art. 17 NOIF, ma anche quella del marchio, che non trova disciplina ad hoc in ambito federale, è considerata violativa delle disposizioni federali, in particolare dell’art. 1 CGS (oggi 1bis).
I TRE PUNTI CARDINE 

PUNTI CARDINE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CONCLUSIONI

In conclusione, allorquando una nuova società o associazione sportiva sceglie la propria denominazione, deve certamente tenere in considerazione, oltre che le procedure previste dalla Figc, anche i possibili rischi, disciplinari e civili, derivanti dall’utilizzo di un nome e un marchio che possano ingenerare confusione con altro sodalizio esercente la medesima attività.

Laddove la denominazione scelta – con l’eccezione del nome della città – vada a sovrapporsi ad altra già esistente, sarebbe preferibile munirsi di un titolo autorizzativo, onde evitare possibili contestazioni, in ambito federale e statuale, tali da determinare pesanti conseguenze disciplinari ed economiche a carico della società.

Approfondimenti > QUALI RIFLESSI SUL PIANO CIVILISTICO?

Non debbono trascurarsi, poi, i riflessi, oltre a quelli disciplinari, che, dall’utilizzo di una denominazione che ingeneri confusione con altro soggetto appartenente al settore sportivo, si producono sul piano civilistico.

In proposito, il marchio d’impresa, ai sensi dell’art. 7 del nuovo codice della proprietà industriale, può definirsi come “tutti i segni suscettibili di essere rappresentati graficamente, in particolare, le parole, compresi i nomi di persone, i disegni, le lettere, le cifre, i suoni, la forma del prodotto o della confezione di esso, le combinazioni o le tonalità cromatiche, purché siano atti a distinguere i prodotti o i servizi di un’impresa da quelli di altre imprese”, tra cui certamente rientra la denominazione sociale, così come il marchio (che, come detto, non trova disciplina specifica in seno alla Figc).

Il tema della tutelabilità dei marchi delle società sportive è ampio, complesso e dibattuto, e certamente non può essere esaurito con il presente contributo.

Tuttavia, in linea generale, giova rilevare come, se, da un lato, secondo una giurisprudenza affermatasi nel periodo 2006-2007, i Tribunali statuali, in varie occasioni, hanno ritenuto la tutela del marchio strettamente connessa alla possibilità, per chi ne disponga, di partecipare ai campionati federali in categorie consone alla tradizione sportiva della città, dall’altro più recenti statuizioni hanno affermato principi di segno opposto che, a mio avviso, debbono essere attentamente valutati nella scelta della denominazione sociale, potendosi esporre il club, che adotti un nome identico o molto simile ad altro già esistente, a responsabilità risarcitorie.

Ad esempio, si è affermato – in alcune pronunce di merito – che i segni distintivi dei club calcistici e delle società sportive in genere sono reputati dall’unanime dottrina marchi notori o celebri (cd. “popularity properties”) e, quindi, meritevoli di tutela, non rilevando la cessazione dell’attività o l’intervenuta o meno registrazione degli stessi, in forza del principio del “preuso”.

Tuttavia, nella maggior parte delle ipotesi, i segni distintivi delle società di calcio consistono nell’indicazione del nome della città e/o della provenienza geografica del club, la cui tutelabilità, in questi termini, appare certamente meno forte, mentre diverse considerazioni possono svolgersi sugli “stemmi”, caratterizzati indubbiamente da tratti di maggiore peculiarità, ragioni per cui i giudizi in argomento si caratterizzano per una fortissima aleatorietà e incertezza.

Conseguentemente, ferma la necessità di valutare caso per caso (ad esempio, sarà certamente consentito utilizzare, nella denominazione, il nome della città di appartenenza, mentre più delicata risulterebbe la scelta di un diverso appellativo maggiormente caratterizzante, come, ad esempio, “Atalanta”), occorre sempre prestare la massima attenzione all’eventuale somiglianza rispetto al nome utilizzato da altri club e, eventualmente, in caso di fallimento o inattività di tale sodalizio, valutare l’ipotesi di raggiungere un accordo con la società che, per prima, ha utilizzato quella specifica denominazione.

 

Fonte: Il  Calcio Illustrato

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