La disfatta sportiva è servita.

La nostra nazionale di calcio non è andata oltre lo 0 a 0 ieri sera nella partita decisiva contro la Svezia.

L’Italia calcistica è fuori dal Mondiale di Russia 2018.

Non mancavamo un appuntamento mondiale dal lontano 1958, è una vera e propria disfatta sportiva, calcistica ed economica. Enorme il danno che arreca dal punto di vista non solo dell’immagine ma anche sociale ed economico, pare che per le casse federali si aggiri intorno ai 100 milioni. Ciò induce ad una serie di riflessioni.

La nostra nazionale, ma soprattutto l’intero movimento calcistico italiano, è in profonda crisi da almeno un decennio, la vittoria del 2006 con una rosa di campioni veri  in campo (Del Piero, Totti, Buffon) con una Federazione commissariata dopo lo scandalo di Calciopoli guidata da Guido Rossi ha anestetizzato quelli che erano i limiti progettuali del nostro movimento.

Abbiamo limiti strutturali, ovvero mancanza di dirigenti a qualsiasi livello fatte sempre le dovute eccezioni di persone realmente competenti in organizzazione, strategie aziendali ma soprattutto in tecnica calcistica.

E’ mai possibile che signori dalle personalità morali e capacità indiscusse quali Gianni Rivera, Paolo Maldini, Franco Baresi, Roberto Baggio, Alessandro Del Piero siano fuori da organismi decisionali ed organigrammi quali club, federazioni ed istituzioni?

Persone che possono portare valore aggiuntivo, bagagli inestimabili di esperienza e competenza fuori dalla portata di altre federazioni calcistiche mondiali, noi li lasciamo in soffitta.

Mancano persone autorevoli e soprattutto competenti, purtroppo il calcio è lo specchio della società, non sempre i migliori sono inseriti nei contesti giusti, la meritocrazia in Italia è un optional, ci riempiamo di retorica, con la retorica cerchiamo di fare sport, politica, e così via.

Noi facciamo retorica, i tedeschi, i francesi persino gli svedesi che hanno applicato contro di noi il sistema di gioco del cosiddetto  catenaccio (il vecchio e sano catenaccio all’italiana) sono riusciti nell’impresa, mentre noi rinneghiamo quello che siamo stati, un questo sistema di gioco con cui abbiamo vinto un Europeo e  quattro Mondiali.

La domenica e non solo, ci ubriachiamo con il campionato spezzatino di Var e discussioni inutili, non guardando in faccia la realtà. Il campionato di serie A non è più competitivo da un pezzo, un campionato di medio livello composto da squadre di calciatori stranieri, la maggior parte mediocri, si salva solo il Sassuolo.

I giocatori italiani fanno fatica a trovare spazio perché ad essi si preferisce un calciatore straniero che non sempre risulta tecnicamente migliore di quello nostrano; una volta da noi venivano i campioni  del calibro di Maradona, Zico, Platini, Socrates, Junior, Van Basten, Gullit, Weah che, sulla loro scia, facevano crescere e migliorare i nostri, come  Zola, Baggio ed altri.

Quindi per essere chiari, non si tratta di andare contro il calciatore straniero, che giuridicamente (come afferma la Legge Bossman) ha tutto il diritto ed il dovere di poter partecipare ad un campionato come quello italiano, l’importante è che il calciatore straniero  sia di vera qualità.

Bisogna ripartire dai vivai, creare le squadre B, facendole partecipare nei campionati inferiori, come la serie cadetta o la serie C, ristrutturare il sistema con legami concreti tra club e federazioni in termini di collaborazioni, per valorizzare i giovani calciatori italiani, ammodernare gli impianti di gioco, facilitare l’accesso al credito sportivo per lo sviluppo di progetti mirati alle competenze e a una vera integrazione sociale. Le scuole calcio devono ritornare ad essere luogo di aggregazione, coinvolgimento, partecipazione collettiva; un ragazzo deve poter fare calcio indipendentemente dalle proprie possibilità economiche o dalle conoscenze personali.

Servono persone competenti, lungimiranti, passionali, che facciano ripartire il mondo del pallone di casa nostra, serve più meritocrazia, più amore, più umiltà da parte di tutti.

Aveva ragione l’Avvocato Gianni Agnelli vent’anni fa, quando da Proprietario della Juventus e non da editore della Gazzetta dello Sport, instaurò una polemica fra gentiluomini con il Direttore Candido Cannavò, sulla reale convenienza ed opportunità di aprire il calcio italiano ad un numero indiscriminato di calciatori stranieri, affinché ciò non portasse veramente quel salto di qualità che il sistema italiano auspicava, non comprendendo che il calcio italiano era veramente all’avanguardia perché sfornava decine di campioni  all’anno. A volte dalla selezione azzurra rimanevano fuori  giocatori del calibro di Mancini, Giannini ed altri.

Serve infine unità di intenti, rimboccandoci tutti insieme le maniche, remando nella stessa direzione anche con spirito critico, ognuno in base alle proprie competenze e attitudini. Serve rilanciare il calcio italiano, con passione  e soprattutto  professionalità.

L’auspicio è che tornino i calciatori di qualità, di fantasia, quelli che potevano cambiare le sorti di una partita da un momento all’altro, ne sono convinto che di ragazzi bravi in Italia ce ne siano, ma bisogna farli crescere con cura, attenzione, non facendoli diventare schiavi del risultato a tutti i costi.

Ognuno al proprio posto. I dirigenti facciano i dirigenti, gli allenatori facciano gli allenatori, e soprattutto i genitori facciano i genitori, non i manager oppure i sindacalisti dei propri figli, perché a volte la rovina dei figli sono i propri genitori.

Siamo realisti, di strada ce ne sarà parecchia da fare, la strada sarà lunga e tortuosa, non illudiamoci che la nostra rinascita calcistica sarà a breve termine.

Ripartiamo da una desertificazione di competenze, idee, e visioni frutto, come dicevo poc’anzi, di anni di retorica.

Se non comprendiamo che la meritocrazia è il sale di una società sana ed attiva in qualsiasi contesto, allora non potremmo mai e poi mai ambire a centrare determinati obiettivi, vivremmo sempre nell’autosufficienza e autoreferenzialità narcisistica ed individualistica che non porta da nessuna parte.

Se non si applicano i ricambi generazionali per dare slancio e prospettiva alle istituzioni non solo sportive calcistiche, ma anche politiche, aziendali di qualsiasi settore, la nostra sarà una società condannata a vivere alla giornata, all’improvvisazione, quindi in parole povere alla precarietà esistenziale non solo professionale ma anche umana. Meriti e bisogni per il calcio  e per la società italiana tutta.

 

Michele Giannotta

 

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

error: Contenuto Protetto