Il Decreto crescita potrebbe facilitare il ritorno di Antonio Conte in Italia – sotto il profilo fiscale – soltanto a partire dal prossimo anno. Dal gennaio del 2020, per essere chiari. Come? Perché? Perché il Decreto legge del 30 aprile 2019, n. 34, insomma il Decreto crescita appena pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, comprende sì una norma che permetterà a chi rientrerà nel nostro Paese di poter godere di una tassazione agevolata. Ma «tutto questo sarà possibile solamente a partire dal periodo d’imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore del decreto. Ovvero dal gennaio prossimo», spiega Sergio Sirabella, counsel di Legalitax Studio Legale e Tributario. Certo, sempre che il parlamento non modifichi i termini durante la conversione in legge, rendendo immediate le agevolazioni. In estrema sintesi, comunque, tutti i lavoratori dipendenti che torneranno nel nostro Paese dopo aver risieduto all’estero negli ultimi due anni potranno essere tassati soltanto sul 30% dello stipendio per un periodo di cinque anni. A condizione che poi restino in Italia per almeno due anni. Tutto chiaro? Esempio. Conte chiede un ingaggio di 10 milioni di euro netti l’anno. Oggi, con la regolare aliquota progressiva al 43%, per accontentarlo una società dovrebbe sborsare circa 17,8 milioni l’anno. Sì, perché 17,8 milioni lordi equivalgono, al netto di ogni imposta, a 10 milioni netti l’anno (oltre 833 mila euro netti al mese, senza tredicesima). Viceversa, sfruttando le norme del Decreto crescita, per comporre un netto di 10 milioni di euro basterebbe un lordo di circa 12,3 milioni di euro. Perché? Perché ad essere tassato – al 43%, come la normativa impone – sarebbe soltanto il 30% del lordo, cioè dei 12,3 milioni. Si capisce subito che il risparmio tra il regime attuale e quello facilitato del Decreto crescita, nell’ipotetico caso, sarebbe di 5,5 milioni di euro l’anno; vale a dire 27,5 nell’arco dei cinque anni. Un’enormità.

IL SUD E I FIGLI
Come detto si tratta ancora di un decreto, e quindi di un atto che dovrà essere convertito in legge. Tuttavia le perplessità non mancano. Dove il testo cita i lavoratori che «non sono stati residenti in Italia nei due periodi d’imposta precedenti il trasferimento», nasce il dubbio legato alla appunto alla finestra temporale. E cioè. Chi, come d’altronde Antonio Conte, ha lasciato l’Italia più di due anni fa, potrà beneficiare della normativa? A voler applicare il decreto letteralmente si direbbe di no. Ci sarà bisogno di delucidazioni e interpretazioni. Non è inutile annotare, infine, che il decreto offre condizioni ancor più favorevoli a chi ha figli e a chi trasferirà la residenza in Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sardegna o Sicilia.

Fonte: Il Messaggero.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

error: Contenuto Protetto